mercoledì 30 luglio 2014

Mentre dormo

Mentre dormo. Di un sonno difficile e agitato. Mi proteggi.
Un rigurgito di paura e di urla. Eppure mi stringi.
Mi sfiori con le dita non capendo il mio dolore.
Mi respiri e mi trattieni. Incurante delle numerose infedeltà che hanno tradito la mia anima.
Per avermi per sempre. Mi respiri nel buio delle mie paure.

Oltre il tempo. Dei miei momenti di caduta. Oltre questo momento.
Non riesco ad arrivare in fondo ai tuoi occhi.
Anche se mi abbracci e mi sorridi.
Anche se mi stringi forte fino a ricambiarmi l'anima.
Lei sente solo i graffi. Riconosce solo quelli.
I morsi di chi usa la mia pelle come un tappeto per guarire le proprie perversioni.

Questa notte. Ieri notte. Solo lampi ad illuminare una coscienza che grida.
Eppure tu vedi la luna. Adesso.
Mi chiedi di volare. Ma le mie ali le hanno strappate.
Come posso raggiungere il cielo?

Posso solo tentare di dormire. Senza gridare.
Se saprai guardare i miei sogni
e non averne paura
perché diventino leggeri.
Più leggeri dei miei pensieri.

Mi sono accorta di te nel sonno.
Mentre dormo. Eppure sei nei miei giorni
Quasi come una certezza che dimentico
per cercare false emozioni.
Nel silenzio, mentre dormo, grido vita
Se sei ancora qui, è perché l'hai capito.

Mentre dormo, anche tu hai capito chi sono.
E sai che ho bisogno di un rifugio per le mie passioni inconsistenti.

Mentre dormo ho incontrato una speranza.
E ho celebrato nel sonno sull'altare del mio futuro.
Ma senza preti. Senza regole per uccidere qualcosa che non si chiede.

Arriva il mattino. Mi copri di respiro perché io non abbia freddo.
Fuori piove. Non mi voglio svegliare.
Ti stringo perché tu possa restare.
Ancora un poco. Per favore.
Anche se non riesco più a volare.
Dovrai ricostruirmi le ali.
Perché io possa tornare a volare
e arrivare alla fine del mondo.
Perché i miei sogni diventi nostri. Diventino veri.

martedì 29 luglio 2014

Le Comiche dell'Amore

"Le Comiche dell'Amore" sono nate in seduta. Un anno fa circa. Stavo parlando di Mr D. ovvero Cuore Fragile numero 2.
Raccontavo a John con drammatico divertimento l'ennesima scena in bianco e nero della mia relazione con Mr D. Un esilarante momento appassionatamente inutile eppure utile e fondamentale in quel "tempo".
Pioveva quel giorno. Come oggi e ieri e probabilmente domani.
Era un venerdì. Mi ritrovavo con il mio abito da sera azzurro in pieno giorno da John.
Provenivo da  Mr D. La sera prima lui aveva suonato in un locale famoso. Un altro dei suoi progetti che non riuscivano a prendere il volo. Ed io sempre lì. A sostenerlo. E a criticarlo anche. Perché per me nessun progetto artistico può vivere senza amore e verità.
Lui mi mandava a quel paese. Si, mi diceva proprio: "Vaffanculo Annalisa!". E poi me la faceva pagare in altro modo. Perché nessuno vuole sentirsi dire la verità. Se la dici poi ti uccidono in qualche modo o ti dicono di essere su "un piedistallo". Solo perché hai il coraggio, per amore e onestà, di dire la verità. La tua. non quella assoluta. La tua. Che è un po' uno specchio.
Beh, Mr D. me la faceva pagare la mia onestà. Tra le lenzuola. O fuori. Con le parole. O una sua perversione. Sapendo di potermi amare meno. Perché più disincantato di me. E di poter "vincere" anche.
Poi ammetteva che avevo ragione. Quando ero a terra. Mi sputava sopra ammettendo che avevo ragione. Ma non gliene fregava niente.
Viveva bene nella sua superficie. Per poi annullarsi nell'alcool. Per cercarsi. Poteva essere pieno solo lì.

A fine serata, quella serata, ubriaco venne da me: "Amore, non suono più. Basta.". Io non avevo risposto. Poi avevo messo nella mia auto il suo piano e gli altri strumenti di lavoro. Li aveva lasciati in mezzo alla strada per andarsi a fare un ultimo goccetto con altri.
Con andatura incerta, non trovandoli più, iniziò una tragica scena. Ridendo gli dissi: " Sono nella mia auto".
"Ah.. che forza che hai amore a tirarli su..". Rise compiaciuto.
Chissà se sapeva che ero io quello sera. Per non sbagliare, da ivrogne, le chiamava tutte "amore".
Salì sulla sua moto. E io dietro con l'auto. Sempre con il terrore che prima o poi quelle curve in bilico le avrebbe centrate in pieno.
Salii da lui. Ero così stupida o ingenua da credere che fosse tutto giusto. Che io potessi bastare. E in fondo mi divertiva Cuore Fragile. Erano divertenti i nostri dialoghi. Con lui terrorizzato dalla vita che gli rimandavo e che gli tiravo fuori. In realtà voleva solo morire o restare in una morte apparente. Abbastanza vivo da omologarsi. E non pensare.

Quella sera feci l'amore. Mi piaceva fare l'amore con lui. Non lo so perché dal momento che spesso mi diceva parolacce e non riusciva mai a entrare a contatto con se stesso al punto da rendersi conto che io ero io e non un'altra delle tante che "scopava" nel reale o nella fantasia.
Ma ero innamorata. Non lo so di cosa o perché. Forse della mia autodistruttività.. Idiota e speranzosa che prima o poi quell'amore che dichiarava e diceva avrebbe avuto un senso. Eppure.. Lezione numero uno: non tutti danno un peso ed un valore alle parole come te. Come me, in questo caso. Che "ti amo", l'ho detto una volta sola. Ed è uscito fuori sincero e vero.
Poi non è durato in eterno, ma in quel momento lo era. E per quel tempo resterà vero.
Ecco come possiamo rendere eterni i momenti della vita e non farli morire. Essendo. Stando sul fluire di una verità di vita. Un fiume che scorre vero. Senza maschera alcuna.
E Mr D. senza maschere non sapeva vivere. E lo diceva. Tantomeno suonare. E si sentiva.
La mattina dopo mi svegliai presto per andare a casa mia, cambiarmi e andare in ufficio. Lui poteva dormire fino a tardi. Scesi e in salotto aveva lasciato acceso il suo pc. E lessi. Anche se non avrei dovuto. Lo so. Non è etico. Non importa. Lessi perché erano mesi che altalenava e io volevo una "scusa" per fare un punto. O iniziare a farlo dentro di me.
Così trovai quello che sospettavo e sapevo. Ovvero chat con l'altra, la fissa della banca, che tentava di riprendere e tenere nella sua vita ( per soldi..soprattutto per quel comodo bisogno).
Poi altre.. cantanti principalmente e ragazze a cui raccontava la stessa cosa. Lo stesso sogno.. E non riuscivo neanche ad arrabbiarmi fino in fondo.. riusciva ad essere diverso con tutte. E aveva bisogno di berle tutte per evitare di centrarsi e entrare a fondo nel proprio dolore.
Oddio. Almeno lì, in fondo, era creativo! O cretino.. ma questo è un giudizio tipico da comica dell'amore.
Salii sul suo soppalco dove aveva il letto "nuziale". E iniziai a menarlo.
Dicendo frasi come: " La devi smettere di prendere in giro le donne. E chi ha dei sentimenti per te. Sei uno stronzo!". Lui che era in pieno sonno ( russava tremendamente di un sonno pesante) svegliandosi disse solo: " Ma amore cosa dici?". E io me ne andai.
Abitava in una casa a due piani. Senza ascensore. Vicino ai Navigli. Scesi con il mio abito da sera azzurro. I capelli arruffati con lui dietro, nudo, per le scale, alle sei di mattina che urlava: "Ma amore dove vai? Non è vero. Te lo giuro..".
Mentre raccontavo a John queste cose mi venne da ridere. E pure a lui tanto che disse: " Sembrano Le comiche". E io " Dell'amore".
Da lì l'idea del blog. Raccontare e sciogliere vicende come queste per portare avanti la mia indagine. Perché io iniziai la mia analisi, in lacrime, andando da un santone sconosciuto, John, a cui chiesi: " Ma l'amore esiste?".
Non mi ha mai risposto in toto. E ha fatto bene evidentemente. E' una mia ricerca.
Un po' di risposte sono arrivate. Soprattutto questi ultimi mesi.
Ho fatto entrare persone "sbagliate". Sbagliate nell'onestà. Che mi hanno fatto violenza. Perché è violento fare l'amore senza amore con chi invece per te almeno un po' lo prova.
Ma questo non lo si ammette. Sono arrabbiata con John per questo. Perché giustifica questi eventi con la cosa della responsabilità. Che è sempre la nostra. Di chi scrive e agisce nella propria vita. Giustificando facciamo del male a ciò che siamo. Esseri Umani. Qualcosa "siamo". In qualche modo ognuno di noi dovrebbe impegnarsi per essere migliore di quel che è. Io in primis.

Ecco. Le risposte alla domanda iniziale stanno arrivando. Come sono arrivate altre persone e ne sono tornate altre. Ne è entrata una speciale. Fassbinder. E se ne sono rafforzate altre.
Le comiche dell'amore sono il passaggio doloroso e dovuto di un drammatico abisso che io chiamo amore. E saranno ricordi comici. Probabilmente solo ricordi miei. Chi li ha vissuti con me, li avrà già dimenticati. Io li terrò con me. Sritti qui o altrove. Per riderne, dopo tanta drammaticità, in compagnia di un amore ritrovato.

domenica 27 luglio 2014

Diversamente madre

Cercando Anna, ho fatto un sogno.
Che è quello ricorrente di una maternità sofferta e perdente.
Il mio ventre in attesa di una vita.
Visi senza volto che mi portano in una sala operatoria.
Chi mi diede la vita. Mi porta a morire.
Un sonno forzato in un risveglio senza forze.
Cercando Anna, mi sono risvegliata nel sogno con il mio ventre piatto.
Il silenzio. Il gemito di un bambino in lontananza. La loro fuga.
Dal collo sino alla pancia, davanti ad uno specchio sporco, ripercorro con le dita una cicatrice spaventosa.
Non mi lascia scampo.

Cercando Anna, ho sognato la mia corsa per i vicoli di Genova.
Una mano sulla mia pancia. Cercando di difendere la mia creatura.
I miei piedi, nudi, corrono via dalla cecità.
Ma le mie ovaie vomitano. E lui si schianta in un marciapiede.
Neanche il tempo di farlo morire tra le onde.

Mi sono svegliata con dolori al ventre. La febbre. Le mani calde.
Non sono andata dal ginecologo dei miei numerosi aborti.
Non riesco a camminare. Ed ora sono sveglia.
Per cosa dovrei in fondo?
Se ogni cosa che tocco si trasforma in un vomito che si schianta senz'anima?
Forse per un angelo. Che mi guarda con gli occhi pieni d'amore.
E sente il mio stesso grido. Ha la stessa vera sete di amore.
Lo capiranno gli altri? Quelli che s'illudono di curare con la ragione qualcosa che non è da curare.
Forse sono gli altri a dovere curare una cieca razionalità e necessità di non sentire.
Per adeguarsi e morire il più tardi possibile senza incontrare mai la vera bellezza.

Esco nella notte. Magari al buio la mia diversità si nota di meno.
C'è meno gente. Meno chiasso. Il mio cuore che batte lo ascolteranno i più puri.
Mi siedo su un divano. Tra gli angeli che alimentano il mio futuro.
Fassbinder e Rhett mi penetrano attraverso i miei occhi tristi. E mi parlano di arte e progetti.
Mi pensano madre. Madre della loro creatività rinnovata.
Fassbinder mi dice che da quando mi conosce, la sua arte è cambiata e si sente rinnovato, in un certo senso rinato.
Rhett me lo dice sempre. Per me è un regalo infinito. Ecco perché il mio ventre urlava.
Stavo partorendo qualcosa. E ora piango di gioia. Come una madre vera.

Cammino nella notte con il mio angelo dagli occhi buoni. Ogni cosa che dico, la rilancia con quell'idea di amore che pensavo di avere solo io. Nel mio ego che mi spingeva in solitudine.
Alla fine rincorriamo entrambi la stessa cosa. E' il nostro urlo. La sete, l'esigenza, la fame che ci esclude anche.
Perché i più la reprimono o vivono in superficie per non sentire e illudersi di rimandare una morte che non esiste.
Non credo nella morte. Credo nell'amore. E nella sua forza.
L'amore è il più grande esperimento della vita. Chi non sperimenta l'energia d'amore non saprà mai che cos'è la vita. Ma nuoteranno in superficie senza perdersi mai nelle proprie profondità.
E noi a perderci siamo bravissimi. Io e Fassby. Tra le viuzze dei navigli. Ritroviamo sempre il senso e l'obiettivo. L'arrivo è lo stesso.
Si rompono le acque e si mescolano con quelle dei navigli. Avranno lo stesso sapore di umanità?
Non importa. In quell'acqua, io sono madre.

Mi sveglio felice in un sabato freddo di fine luglio. Tutto va al contrario.
"Auguri da Genova..diventi sempre più bella..". E non è un uomo. Ma una mia cara amica di università.
Lei è tre volte madre. Vive a Genova.
E oggi è il mio onomastico. Sant'Anna. Era la madre di Maria. Fondante.
I misteri dell'amore. Quello creativo. Ora che sto' riuscendo a praticarlo, non sarò più a contatto con un riflesso, ma probabilmente con la verità stessa.



venerdì 25 luglio 2014

Non sono più una donna

" Ero stanca di essere una donna,
stanca di cucchiai e pentole,
stanca della mia bocca e dei miei seni,
stanca di cosmetici e sete.
C'erano ancora uomini seduti alla mia tavola,
raccolti intorno alla coppa che offrivo.
La coppa era piena di chicchi d'uva viola
e le mosche erano attratte dal profumo
e perfino mio padre si fece avanti con il suo osso bianco.
Ma io ero stanca del genere delle cose.

La notte scorsa ho fatto un sogno
e gli ho detto…
"Sei tu la risposta.
Tu sopravviverai a mio marito e a mio padre".
In quel sogno c'era una città fatta di catene
dove Giovanna fu messa a morte in abiti maschili
e la natura degli angeli non fu spiegata,
non ce n'erano due della stessa specie,
uno con il naso, un altro con un orecchio in mano,
uno masticava una stella e registrava la sua orbita,
ognuno come un poema obbediva a sè stesso,
facendo le veci di Dio,
un popolo separato.

"Tu sei la risposta",
dissi io, ed entrai
stesa sui cancelli della città.
Poi fui stretta in catene
e persi il mio genere normale e il mio aspetto finale.
Adamo era alla mia sinistra
e Eva era alla mia destra,
entrambi del tutto incompatibili con il regno della ragione.
Intrecciammo le braccia
e marciammo sotto il sole.
Non ero più una donna,
nè una cosa nè l'altra.

O figlie di Gerusalemme,
il re mi ha condotto nella sua camera.
Sono nera e sono bellissima.
Sono stata aperta e svestita.
Non ho nè braccia nè gambe.
Sono tutta pelle come un pesce.
Non sono più donna
di quanto Cristo sia un uomo".

( Anne Sexton)

Sto' cercando Anna. E' la parte più fondante di me. Quella che sprofonda le radici nell'essenza.
Anche se Shakespeare diceva " Cosa c'è in un nome?".
Nel mio caso la complessità si spezza nel nome.
Sono parti di me. Per ricompormi. Non sono un'unica cosa. Sono tante.
Per ridere e provocare Ragazzo, gli avevo detto che dentro di me c'è una squadra di calcio. Immensi falli che mi perseguitano e s'illudono di afferrarmi.
Che immagine squallidamente divertente..!
Sto' urlando. Bene. Si sente. Sto' iniziando ad indirizzare la mia richiesta di aiuto nella direzione giusta. Sono arrivati dapprima gli occhi di Ana. Ora Anne. Sexton di cognome. Dove "sex" è nel cognome. Quella sessualità che mi spaventa e pervade. In ogni cosa che faccio.
Poi i più bevono quella apparente. Per prendere energia e affermarsi. Ragionano con il fallo e si accontentano così. Ma adesso mi faccio pagare. L'ho detto a Rhett.
Anellino e poi Sex. With ton. Don't worry. I can be a Mala.
Perché tanto se ti dai nuda e onesta, spaventi. Prendono e scappano. Ma prima si rivestono di borghesia.
" Tutto qui?". Penso. L'ho pensato alla fine degli ultimi incontri di fragilità.
 Per questo Ana e ora Anne mi hanno chiamata. Per dirmi che non sono sola nella mia ricerca di completezza. Ho ragione ad essere stanca del genere delle cose.
O di dovermi giustificare per quel che sono. Io sono più cose. Ci sono infiniti tasselli. Infinite parti di un puzzle da ricomporre.
Forse è per questo che non mi annoio mai. Con me. Anche Othello mi dice sempre che sta' con me perché ogni giorno ne invento una. Eppure poi mi schiaffeggia nell'intimo non appena si rende conto che io non gli apparterrò mai.
Perché sto' imparando ad amare senza appartenere o possedere. Perché di definirmi necessariamente non ne ho voglia. Io sono ed esisto perché vivo con e nell'amore.

Ho raggiunto Rhett nel nostro nuovo locale d'arte. C'è anche Pallino. Ridiamo. Io parlo tanto. Rhett mi prende in giro. Mi abbraccia. Mi bacia la mano e mi dice "Sei sempre più bella". E io che mi sento uno straccio mi tiro su la maglietta e dico "Si, ma guarda.. secondo me sono incinta". Pallino ride. E mangia.
Rhett mi dice che devo solo depurarmi e poi mi parla di mia madre. Di andare da lei.
E poi ci sono i nostri progetti.. le mie scritture. Il corto con Fassbinder che entrerà nel nostro giro artistico..
Parliamo tre secondi dell'ultimo cuore fragile e mi dice solo che è stato "furbo" nel bermi e basta per dimostrarsi "maschio".
A me sembra tutto così lontano ormai. E poco interessante. Per quel che sarò.
Poi Pallino prende il sax e suona. Rhett prende il micro e canta. E mi chiama. E iniziamo a duettare improvvisando con Pallino e una base di sottofondo. Giochiamo ad Alba e Vale. Ridiamo. La barista è divertita. I clienti fuori ridono.
Pallino aggancia una belga con le tette enormi. Poi mentre ce ne andiamo mi dice: "Anna, mi sono innamorato. Ma è passata già".
"E di chi?" chiedo. "Ah no.. una ragazza di Torino. Del conservatorio".
Rhett: " Si. Ma di una lesbica. Gli piacciono le donne. Per questo non ha funzionato ciccione". Si prendono in giro. Giocano allo scambio dei generi. E nel passare dal femminile al maschile, riescono a restare loro stessi.
Sono lì a dimostrarmi che l'essenza di "te" è un insieme di cose e che "tu" sei "tu" ed esisti nella libertà della tua anima. Qualsiasi sia la tua sessualità. Che essere donna e uomo è molto di più del genere che ingabbia.
Li saluto. Rientro a casa.. Non sono più una donna, nè una cosa nè l'altra. Sono nera e sono bellissima. Sono stata aperta e svestita. Non ho nè braccia nè gambe. Sono tutta pelle come un pesce. Non sono più donna di quanto Cristo sia un uomo.
 

 

giovedì 24 luglio 2014

God save the Queer!

Sono a sentire i Queer. Al Carroponte. Non sono i cugini dislessici dei Queen, ma qualcosa che forse in un certo senso ha a che fare con Freddy Mercury. Che ha cavalcato la sua diversità senza paura. E grazie ad una diversa, ma trovata identità, ha lasciato un'impronta. Nel mondo. Nell'esistenza. 
Mi chiedo sempre quanto difficile sia vivere "essendo". Quanto difficile sia camminare consapevoli di ciò che si è chiamati a fare. In questa vita.

L'incontro al Carroponte ha qualcosa a che vedere con l'amore e la mia indagine. Forse riesco ad incontrare un po' di sincerità. Quella verità che mi è stata negata dai recenti incontri tristi.


La conferenza è "Identità di genere, studi queer, percorsi artistici e politiche LGBTQ". Io non so molto sull'argomento. Le sigle e i Queer.. Le ignoro. Però m'interessa il percorso sull' identità. E il genere. Secondo me c'è un grande caos. Io ce l'ho dentro di me. Ma non solo io. Solo che non s'indaga. Ci sono tanti, troppi tabù.


Sul palco a mettere a disposizione la propria esperienza ci sono: Marco Mori, presidente di Arcigay Milano, Antonia Monopoli di ALA Milano Onlus responsabile Sportello Trans, Gianluca de Col/Cassandra Casbah ( attore, drammaturgo e performer), Sveva Magaraggia, sociologa dell' Università Bicocca; Maya De Leo, storica dell’Università di Pisa; Claudia Gambero del collettivo Meladailabrianza; Rachele Borghi, geografa e attivista queer e Sabrina Astolfi di Arcilesbica Novara.


Si alternano nella discussione. Nel prato ci sono un po' di persone. Non tantissime come ad un concerto dei Queen, ma un buon numero. Ci sono coppie gay, coppie lesbiche, gruppi di amici, una ragazza rasta, una dark, una coppia di vecchietti capitati lì per caso, mano nella mano. E poi ci siamo anche io e Fassbinder.

Lui fuma in libertà. Io prendo appunti. Anzi, registro con il cellulare.
Sembro una bambina al Luna Park. "Grazie Fassby che mi porti a sentire queste cose interessanti!".
Lo penso mentre sento le parole che cercavo. Lui sapeva che avevo bisogno di quello.

C'è la psicologa che spiega i concetti tipici della diversità e della discriminazione e del limite che ha l'essere umano nel ragionare per "prototipi".

Oddio.. io devo essere sempre stata strana perché.. ragionavo a testa in giù. Per questo stavo male e vomitavo.. Perché leggevo il mondo a testa in giù, mentre la maggior parte lo vedeva dritto.
Anch'io sono una Queer! Magari una Drag Queer!

Ecco."Queer" è un termine della lingua inglese che tradizionalmente significava "eccentrico", "insolito". A
 sua volta deriva dal tedesco "quer" che significa "di traverso, diagonalmente".
Entra poi nell'uso comune durante gli anni novanta, quando viene reso popolare dal gruppo di attivisti inglesi Queer Nation. 
Queer assume il significato di "bizzarro" o "strambo" nel XIX secolo.
Negli anni settanta in Inghilterra Queer è l'equivalente del nostro "frocio". Ma senza la connotazione negativa che si ha in Italia.

Parlano la geografa e la storica da un punto di vista "cattedratico"  del problema di "genere". Esprimendo tutta la difficoltà che incontrano nel fare ricerca nelle università sul tema. E mi chiedo: "Perché?  Perché tanta ostinazione se siamo nel 2014?". 

Per me l'identità, vivere liberamente la propria identità sessuale, il proprio femminile o il proprio maschile o entrambi è un diritto. Perché nascondersi e fare finta di niente? Perché si ha paura del diverso? Diverso da cosa poi? Da chi?

"21. Pizza 21 pronta". Si. Ecco. Siamo al Carroponte. Dietro di noi c'è la vita normale. Il baracchino della pizza e della birra. Anche questa è vita vera. Mentre parla Antonia.
Mentre spiega che ci sono tanti uomini sposati con figli che vanno di nascosto con le persone transessuali perché hanno paura di "essere". Di dirlo. Di avere una relazione affettiva alla luce del sole con un transessuale. Perché non si dice?
Al lavoro se non rispondi ad un modello ti licenziano.
Dov'è il male? Il male sono i pedofili. Chi plasma, plagia e fa violenza non chi vive liberamente..

Perché bisogna vivere la sessualità di nascosto e tornare poi a casa dalla moglie mentre i figli dormono?

Perché dirsi nel buio chi si è, con la mano sulla bocca? Per non urlare? Per paura che gli altri sentano? 
La maggior parte preferisce morire senza essere.

Di tutti gli interventi quelli che ho sentito più veri sono stati quelli di Antonia e Gianluca. Si sente l'onestà. C'è un peso specifico nelle parole che deriva da un'esperienza. Lo sento che hanno attraversato, soprattutto nel dolore, la loro conquistata essenza. E infatti sono lì sul palco senza strutture. Senza confini. Sono il prodotto di una ricerca personale. E arriva. La loro forza.

Io che sto' soffrendo perché incontro solo chi mi sputa addosso e mi da' morsi per poi fuggire gridando all'orrore con indifferenza, ecco... io li sento. E li ringrazio. Nel mio piccolo.
Li leggo in modo diverso. Io non sono lesbica. Né trans. Né F to M. Non ho nessuna di queste "battaglie" nel reale. Almeno credo. 
Sono incasinatissima sessualmente e dovrò prima o poi attraversare questa cosa, anche nella parola, ma li capisco. 
Il loro coraggio nell'urlare e richiedere i propri diritti per qualcosa che non dovrebbe essere chiesto.. ecco.. mi commuove.
L'umanità è così varia. Ci sono infiniti colori dell'essere umano eppure continuiamo a volerci adeguare a qualcosa dettato da chissà chi... Un "potere"?
Invece dovremmo rispondere ad un dovere. Usare e mostrare tutti gli altri colori dell'anima dell'essere umano.

Mi uccide. Mi uccide ogni giorno dover rispondere a regole imposte. Così stupide. 

E io non sono lesbica. Sono banalmente etero. Una donna che è fuggita da un maschile. Da uno sguardo sbagliato e perverso dell'uomo sulla donna.
L'uomo deve diventare più femminile. 
Lo dice anche Gianluca. Che se l'uomo cercasse, indagasse il proprio femminile troverebbe un maschile inaspettato. Se si perdesse di più nella ricerca del proprio femminile, credo che cambierebbero tante cose. Non dico il mondo, ma quasi.

Tutta questa necessità di definire, definirsi, di fare recinti e tirare su muri per paura dell'altro, d'incontrare veramente l'altro è la vera maledizione dell'esistenza. E' la mancanza d'amore.

Dividerci in frammenti senza ricomporci. Questa è l' involuzione dovuta alla paura.
Io sono stanca di essere solo una donna. E di non potermi permettere di essere unita ad altri frammenti.
E' questo il vuoto di genere. La necessità di spezzare e dividere la nostra essenza e la nostra anima per i limiti dettati dalla paura e dal potere.
Sono stanca di accettare la mediocre spinta del buio che avanza e ha spento il sole di ciò che eravamo.

"Pizza 71. E' pronta la pizza 71". 
"Cavoli.. hanno fatto ben 71 pizze dall'inizio della conferenza?". Ride Fassbinder.
La conferenza è finita. But...

God save the Queer!!!


mercoledì 23 luglio 2014

Il codice dell'anima


 " Ero solita pensare di essere la persona più strana del mondo
ma poi ho pensato, ci sono così tante persone nel mondo,
ci dev’essere qualcuna proprio come me,
che si sente bizzarra e difettosa
nello stesso modo in cui mi sento io.
Vorrei immaginarla,
e immaginare che lei debba essere là fuori
e che anche lei stia pensando a me.
Beh, spero che, se tu sei lì fuori
e dovessi leggere ciò,
tu sappia che sì, è vero,
sono qui
e sono strana proprio come te."



L'ha scritta Frida Khalo e questa sera di fine luglio, di uno strano luglio 2014, è arrivata proprio dritta al cuore.
La legge Gianluca. Vestito da donna. Sul palco. Nella sua fragilità forte di una verità faticosa.
Vicino a me c'è Fassbinder. Dovevamo andare al cinema, ma poi ci siamo ritrovati qui. Al Carroponte.
La mia anima aveva sete di essenza. O di ciccia dell'anima come dice Rhett.
Quanto avevano ragione gli occhi di Ana. C'è sempre un motivo per chi se ne va. Arriva o entra altro. C'è spazio per altro.
Oppure entri Tu. Solo Tu puoi accettarmi per quel che sono.
Il vuoto dei giorni scorsi era dovuto ancora all' incomprensione di chi avvicina me volendo una normalità borghese. Ma io sono diversa. Strana. Non c'era bisogno di bermi per vomitarmi perché troppo strana.

La mia autodistruttività. Sono davvero stramba. Stasera ero circondata da voci colorate. Un jazz di umanità.
Dovevamo andare al cinema io e Fassbinder. E invece mi ha portata lì.
Ma è iniziato con John. La mattina. Abbiamo parlato di me e della seconda laurea che voglio prendere. Indecisa tra Informatica e Psicologia. Due parti di me. Come il maschile e il femminile. Possono convivere benissimo in me due alternative. Il bianco e il nero. Io sono Anna. Ma anche Lisa. E insieme fanno Annalisa. Annalì può chiamarmi solo chi può amarmi veramente.
Possono convivere più colori. Unirsi come in un cerchio senza tentare di essere un'unica cosa per sentirmi uguale agli altri.
Se alla mia età di fine anni 30, mi permetto di decidere di fare una seconda laurea, è perché sono strana. Le persone normali non lo farebbero. E' tempo di altro.
Ma sono strambamente libera di essere coraggiosa e di non diventare piatta adeguandomi a un buon senso che rende felice solo chi lo disegna per potere.

John ha uno studio pieno di libri. Davanti al divano bianco c'è un tavolo apparecchiato. Sembrano tanto i biscotti che mi sono trangugiata per notti interminabili per sentirmi amata.
Li vedo e ho la stessa fame. "Posso prenderlo?". Afferro "Il Codice dell'anima" di James Hillman.
Mi fa' la faccia da "Sempre a prendere i miei libri Ivan...".
Lo tranquillizzo " Te lo riporto John. Te li ho sempre riportati".
Quel libro lo aveva consigliato Enrique. E lui la mia anima l'aveva codificata subito. Come John. Mi sta' aiutando a mapparla e a uscire fuori con il mio talento o "i miei talenti". Parla al plurale.

Dopo la conferenza, io e Fassbinder andiamo a prendere una birra. Arriva anche SuperSimo. Io offro una birra a Fassbinder. SuperSimo è già alla seconda.
In realtà.. non prendo una birra. La lascio sempre lì. Forse la prendevo per sentirmi "normale". Decido di scegliere un thé al limone. Mi fa schifo la birra.
E brindo con loro: " La mia birra è diversa. E' strana. Come me". Ridono.
Andiamo nella libreria vicino. Compro "In viaggio con Erodoto". Me lo consiglia SuperSimo . Poi Fassbinder mi fa notare un libro sulla ex Jugoslavia. Mi dice che c'è un collegamento con lui. Con quel sentire.
Lo compro. Usciamo. "E' per te". E gli do' il libro. Lo mette in tasca contento.
" Poi me lo racconti".

John risponde a un mio sms in cui gli chiedo se gli piacciano le foto del mio progetto di Bacharac. Poi gli dico che sono con Fassbinder a sentire i "Queer". Mi chiede di cosa si tratti. Spiego a grandi linee. "Comunque domani ne scriverò sul blog John".
"Ah.. sarei venuto anche io con voi!".
Anche il mio padre spirituale è differente. Meno male.


lunedì 21 luglio 2014

La guerra fredda dei generi

Non la metto più la schiuma nei capelli. E' quella cosa bianca che esce da una bomboletta. La metto sui capelli umidi.
Disegna ricci.
Ricci naturali.
Effetto strong.
Effetto naturale.
Effetto secco.
No. Basta schiuma. Tanto non uso mai il phon. Anche d'inverno. Esco con i capelli completamente bagnati.
Non lo so perché. Principalmente mi scoccio di fonarli (o si scrive phonarli con il "ph" neutro?!?). No. Con la "f". Perché i miei capelli sono ricci. Ribelli. Vanno dove vogliono. Non sono neutri. Meglio saperlo subito. Così risparmio tempo. Anche a chi li annuserà.
Elimino anche la schiuma. L'effetto è diverso. Sembrano più morbidi. Sembrano. Sto' cambiando pelle in fondo.
Metto un vestitino estivo. Azzurrino. Corto. I sandali di corda. Quelli spagnoli. Espadrillas. Mi vesto d'anima. Comoda.
E vado a trovare la nonna. La Baronessa della mia Mala. Ha quasi novant'anni. Ed è ancora bella. Ha gli occhi azzurri. Il viso disegnato. La nonna era una bella donna. Somigliava ad un'attrice di Hollywood. Guardo le sue foto in bianco e nero da ragazza, ne vado orgogliosa. Anche se io non le somiglio per niente..

Inizio a toccare tutto. I libri. I suoi santini. Si arrabbia: "Sempre la solita.. non stai mai ferma. Siediti e raccontami la tua vita". 
Mi fa ridere. Poi tanto faccio parlare lei. E mi racconta delle signore delle case di fronte. Del figlio della vicina che andrebbe così bene per me.. Di Santa Gemma. E della televisione. S'interrompe però: " Bella sei sempre bella, ma hai un vestito troppo corto". Mi sgrida sempre. Continua: " Ma ti sta' bene. Hai belle gambe, ma lo sai no che gli uomini sono un po' arrabbiati con le donne ora? ".
Ecco. Riassume con semplicità. Eh si, è una guerra. Fredda addirittura. Perché non detta. Non si dice. Non si dice veramente. Si enuncia. E invece la violenza vera nasce da questo non detto. Di generi che cambiano e lottano senza incontrarsi mai.
"Ma mica solo oggi nonna. Gli uomini sono arrabbiati con noi da sempre". Lei aggiunge: " Eh, perché ora la donna fa tante cose. E' pericolosa. Se ti vedono così ti possono fare del male per vendicarsi".
Siamo pericolose? Ci percepiscono così? E quale pericolo sentono?
Non so proprio cosa dirle. Perché con semplicità ha detto una cosa vera. Per quanto siano complesse le dinamiche storiche, sociologiche e psichiche etc. etc... E non è sempre così. Non è così ovunque.
Ne ho parlato tanto con John. Se il maschile accettasse più il suo femminile. Se ci fosse più unione.
Anche se...
Eppure è in atto la guerra fredda dei generi.  
Però è vero che c'è un gran macello. Perché prima era tutto delineato. Apparentemente tutto così semplice. Poi per mia nonna.
C'era la donna. Poi l'uomo e la famiglia. I figli. L'uomo faceva questo. La donna quest'altro. Fine. Lei non aveva neanche studiato perché studiavano solo i maschi.
Non lo so perché mi fa tanto effetto la dichiarazione della nonna. Nella sua semplicità. Forse perché io sono in lotta con il maschile da sempre. Un fantasma poi. Un certo tipo di maschile. Quello che ingabbia la diversità. E ho il sospetto che per sopravvivere sono diventata un po' di quel maschile che mi ha ferita.

La Baronessa mi ha accolta nei periodi peggiori. Scappavo da mio padre e mi rifugiavo da lei. Ho passato anche un periodo della mia adolescenza, al liceo. Da lei. Con la mia gatta. E i miei libri.
Nella mia camera ci sono ancora: letteratura greca. Chimica. Fisica.  Biologia.
Ero tanto sola. La vita fuori scorreva e io vivevo lottando contro mio padre. Era quello l'obiettivo.
E non lo capiva nessuno. Forse la nonna. Anche se egoisticamente avermi lì per lei era una fortuna.
Eravamo unite da questa silenziosa lotta con il maschile. Perché anche lei nella sua semplicità percepiva e mi diceva che tanti anni dedicati ad un unico uomo, chiusa in casa, con il senso del dovere, l'avevano resa infelice. Eppure, ancora adesso mi chiede perché io non mi sposi. E perché io non faccia figli.
Perché? Perché incontro o voglio incontrare ancora il fantasma. Perché mi fanno paura le relazioni chiuse in una casa con la dinamica familiare. Perché per amare bisogna essere forti e liberi. Senza pretendere che l'altro, il compagno o i figli subiscano le tue paure.
Perché se mai riuscirò ad avere dei figli ( tutte le donne lo vogliono) li amerò, ma poi gli insegnerò a liberarsi da me. E ad essere se stessi. Senza compiacere me, ma solo se stessi. Per trovarsi. Come esseri umani.
Perché quello che cerco non riesco a trovarlo. Perché è difficile amare veramente. O ti accontenti nell'abitudine di amare che hai ereditato o speri d' incontrare o resti solo. Resterò sola. Perché nell'abitudine di amare, io muoio. E gli incontri sono cosa rara.
Magari sono davvero destinata ad altro. Ho un'altra missione in questa esistenza. Diversa da quella che ho sempre pensato.

Anche se mi manca la comprensione. Rispecchiarmi in un altro che mi accolga. E non sarà semplice. 
Anche inconsciamente. I cuori fragili che ho voluto incontrare e accogliere dentro di me erano arrabbiati con un femminile. Con che cosa poi? Con la madre? Un'idea di violenza subita? Ognuno di noi subisce violenza dall'altro. Siamo una società basata sulla violenza.
Chi è più complesso se ne rende conto. Ne soffre. Elabora. Magari riesce a trasformarsi e a liberarsi per essere. Chi è più semplice vive nella superficie. Adeguandosi. Basterebbe non sentire.
Cuore Fragile due si che mi ha fatto pagare. Cercava una donna da dominare e controllare. Ha sfogato su di me l'odio di tanti anni. Proprio perché simboleggiavo tutto quello che una donna non dovrebbe essere. Per lui.
Ed io ho voluto pagare perché in fondo mi sono sempre sentita in colpa nel dualismo con mio padre. Per essere fuggita. Per essermi ribellata. In fondo mi sono sempre sentita in colpa. Per volermi salvare.
Sono stati i miei sensi di colpa che mi hanno lasciata lì. Nella casa di Cuore Fragile due ad accogliere il suo odio. Anche se ogni volta che faceva l'amore con me.. ogni colpo di rabbia che mi dava, piangevo dentro. Avevo dolore. E nel dolore pagavo. Nelle sue parole di odio. Pagavo. Pensavo che stare lì sarebbe stato un po' come farmi perdonare da mio padre. Perpetuare la violenza.
E' successa la stessa cosa anche con Cuore fragile tre. Ma lì la sofferenza è stata diversa. L'effetto è stato uguale. Alla fine il non valore che mi ha dato venendo a letto con me, senza difendermi, è stato uguale. Agli altri cuori fragili.
Ma alla fine, nel suo andarsene, si è sovrapposto mio padre. Che è tornato con una chitarra in mano chidendomi di cantare insieme e fare qualcosa che mi appartiene.  Per comprendermi.
In quella comprensione ho sentito il suo amore, la richieste di perdono. E di perdonare me stessa per essermi fatta del male.
Non è colpa dei cuori fragili. Io potevo fermarmi prima. Potevo decidere, ma non vedevo.
O vedevo la possibilità che vedevo in mio padre. Vedevo l'amore in mio padre, quello giusto. La luce. Cuore Fragile due mi ha sempre detto che con lui era impossibile. Che era un cavallo perso. E allora doveva uccidermi. Nel corpo e nell'anima.
John mi ha sempre detto: " Non puoi salvare chi non vuole essere salvato". Ora capisco. Mio padre è arrivato ora. Da solo. Potevo solo andarmene all'epoca. Non dialogava con me.
Aveva solo paura di quello che potevo essere. Di non potermi controllare.
Mi viene in mente Fassbinder. Mi ha chiesto quale differenza ci fosse tra Mr. D. e Ragazzo. Tra gli ultimi due cuori fragili.
Mr D. mi parlava. Nel suo odio, mi ha risposto. Quando gli ho chiesto "Perché?". E' riuscito a rispondermi. Mi ha sempre detto che gli risvegliavo cose troppo profonde. Che con me era costretto ad amare e ad essere. E lui non voleva. Voleva accontentarsi. Esistere era sufficiente. Sarebbe stata troppa vita. Avrebbe dovuto lasciare le abitudini.
L'ultima sera che restai con lui, era ubriaco come sempre. Lo schiaffeggiai per farlo smettere nei suoi deliri .
Mi guardò stupito e disse: "Amore andiamo a letto?". Era tutto così comico, ma non il mio amore sincero. E io non potevo più.
La mattina dopo gli chiesi "Perché? Perché mi tieni così?". E mi disse che pensava che la mia presenza lo avrebbe aiutato a vivere. Che avrebbe potuto prendere dalla mia forza. Invece, odiava e amava tutto il mio ardore. Allo stesso tempo. "Pensavo che sarei riuscito a cambiare con te. Non riesco a raggiungerti. Sei troppo..". E si girò dall'altra parte del letto.
Fu in quel preciso istante che decisi che dovevo togliermi. Perché saremmo stati così in eterno. Ed io sarei morta in un folle tentativo di cambiare il mio fantasma.
Però me lo disse. Mi disse. Ebbi la mia risposta.

Fassbinder mi fa sempre riflettere. La differenza è che Ragazzo non mi ha mai parlato veramente. Non mi ha mai detto veramente cos'è accaduto. Sono senza risposta. Resto con il vuoto dell'anima. E l'uso di qualcosa che ha gettato nella pattumiera.
Eppure gli ho scritto una mail. Per lasciarlo andare dentro di me. Con amore. Perché mio padre è tornato con cuore quando lui mi ha gettata via con spietata razionalità. Senza una parola che avesse il peso dell'essenza. E' vero che da ubriaco riusciva ad essere più pieno.
Ogni parte di me ha vibrato di verità. Sbagliata forse, ma vera ed onesta. E conta solo questo. La mia difettosa e incompleta umanità. Donata senza maschere. E infatti lui è guarito in alcuni aspetti lesionistici. Quindi, ho amato?
Solo questo conta. Anche se per poco.  Anche se sono stata gettata via.
Una parte di me ci sarà sempre in quella guarigione.
Ho visto che mi ha risposto. Ma non ho letto. Non voglio leggere. Non volevo una risposta. Perché so che non dice quella mail. Me l'ha anticipata con un sms. E non voglio. Non m'interessa. Lui non c'è più. Non so ce sia mai stato. Forse si. E non so cos'ho incontrato.
So che è cordiale e la gentilezza formale mi svuota l'anima. No. Per favore. Muoriamo in silenzio. L'ho gettata nel mare. La tua presenza. Quella vera. Se mai c'è stata.

La vera sconfitta dell'umano. Anche il mio limite. Di me che resto senza parole. Lost in translation. Questo è stato.
Eppure qualcosa ho imparato. Qualcosa gli ho lasciato negli anni a venire se mai si ricorderà di me. O avrà capito perché mi ha incontrata.
E se riuscirà ad ubriacarsi di vita senza svuotare bottiglie, ma riempiendo di se stesso l'altro.

"L'abitudine di amare". Di Doris Lessing. Lo prendo. L'avevo comprato chissà quanto tempo fa. Ora mi chiama.
Saluto la nonna che mi regala un paio di mutande verdi. "Come i tuoi occhi" dice.
Giorni dopo vado a Chiavari. A casa di Othello. Ha una casa bellissima lì. Per lui avere me e il mare di fronte è appagante. Scendo in spiaggia mentre lui mi guarda dalla terrazza. Mi tratta come una principessa. E sono il suo possesso. Forse mi insegue perché ogni volta si illude di avermi. Senza prendermi mai. Sono l'inconoscibile. Chissà.

Ho il libro in borsa. Sento che in quell' abitudine di amare troverò delle risposte. Però ho quel senso di vuoto.
Ho il mio bikini sotto la salopette di jeans. Sono troppo ansiosa. Sento il vuoto. Il respiro che mi crea ansia. E' il vuoto delle non risposte. Dell'umano che ho incontrato e poi lasciato andare con amore.
Mi tuffo in mare. Il mio corpo è accolto nel freddo iniziale.
Come nel freddo dei generi. Nuoto leggera. Un respiro ogni tre bracciate. Scaldo il mio femminile nel maschile del mare. Nel suo sale che asciuga. Ecco. Se mio padre fosse stato così.
Se mi avesse accolta senza chiedere solo. Senza giudizio.
Maschile e femminile. Uniti in una comprensione. Ma il mare è infinito. E non ha limiti nel suo amore.
Accoglie anche le mie imperfezioni. Senza guerra. Senza freddo. Senza distinzione di genere.

venerdì 18 luglio 2014

Gli occhi di Ana

E' una giornata densa. Stanno cambiando tante cose nella mia vita. Devo essere in  grado di farle accadere.
Sento che non posso continuare a porre resistenza a tutto. Non posso trattenere tutto. Devo perdere. Eppure, ho questa cappa. Ancora.
Sono con Fassbinder in auto. Mi sta' aiutando nel mio progetto di Bucharac. Gli ho chiesto di fare delle foto a me e ad Alfie. Il pianista. Siamo stati nel quartier generale delle Scimmie Nude.
Ho bisogno di un visionario come lui. Chissà che le sue foto, la sua energia non mi diano altre idee, suggestioni..
Mi sono portata un po' di vestiti eleganti. Fassbinder è un creativo esigente. Come lo capisco. Scatta tante foto. E non è mai contento. Lo sento. Lo so. E' un bel progetto, ma noi non siamo pesati come i tasti del piano.
Arriverà. Arriverà..
Le ore volano. Scattiamo un po' di foto. Ci diciamo che può andare. "Al limite ci ritorniamo sopra" ci diciamo io e Fassby. Salutiamo Alfie.
"Vieni Fassbinder. Ti accompagno a Porta Garibaldi". Metto il Garmin e come sempre riesco a perdermi. Fassbinder mi parla della legge Merlin. Delle sue idee coraggiose. Poi rischio di "incontrare" un pullman.. con una manovra strana. Mi passano sempre Cip e Ciop, Topolino, Minnie e Pluto in testa quando qualcuno mi parla di arte durante la guida... Fassbinder si attacca alla maniglia e si ammutolisce. Ma è discreto e non mi dice niente. So che sta' pensando che sarebbe comunque un'esperienza morire con me in auto.

A Porta Garibaldi stiamo a parlare un po'. Con lui le conversazioni sono sempre piene e interessanti.
Poi guardo l'ora e gli dico: "Devo vedere Ana..". Ci salutiamo e vado al mio appuntamento.
E' tanto tempo che vorrei conoscere Ana. E' un'amica di John. L'avevo contattata tempo fa. Ma poi ci eravamo perse. Sono tornata alla carica questi giorni perché sentivo che avevo bisogno di conoscerla.
Qualcosa mi portava a lei. La scrittura prima di tutto. Lei fa la drammaturga. E per me scrivere è l'essenza. Sento di esistere quando scrivo. Da sempre.
Ma ho sempre avuto quella sottile paura dell'incontro. Soprattutto di questo. C'è una porta ancora chiusa della mia anima. So che un incontro potrà aiutarmi.
"Sono qui. Ho un vestito celeste". "Qui" sarebbe di fronte alla gelateria di Porta Venezia. Proprio di fronte a John. Sarà un caso, ma "incontro" sempre qualcosa d'importante nella cerchia di Don Oberdan.
Che John sia con me!
E mentre attendo Ana, mi chiama mio fratello. Disperato. Sta' attraversando le prime crisi paterne. Sono il suo punto di riferimento. Forse dovrei iniziare a tagliare il cordone.. e smettere di fargli da mamma. Sono pure la sorella minore!
"Che bel vestito..!". Ecco Ana. Si presenta con la sua cagnolina in braccio. Dei pantaloncini colorati e un sorriso luminoso.
Poche battute. E mi sento a mio agio. Andiamo in un locale a fare l'aperitivo. Ma prima di sederci io le ho già raccontato che faccio l'attrice da dieci anni. Canto e che.. volevo incontrarla.
Ecco. Ho invaso ancora l'altro. Ci sediamo e le dico.. Della scrittura. Della drammaturgia. Ma poi ... ci capiamo subito. Insomma, la scrittura non s'impara. La tecnica è importante, ma poi è altro che ti fa scrivere.
Ah si. Certo. E allora perché sono lì?
Per la scrittura Annalì.. Per la scrittura.. Si. Ma quella spirituale. Io parlo. Dico tutto. Ormai ho piena libertà e facoltà di dirmi. Il blog sta' guarendo le mie paure. No, l'analisi mi sta' guarendo. Il blog è un mezzo o un effetto o un "prodotto".
Ana mi ascolta. Ha gli occhi che ridono. Non parla con le corde vocali. Neanche con la razionalità. La sua voce arriva da un'altra parte. Poi esce dagli occhi. E nei miei l'ascolto.
Sono così insolente che le chiedo e chiedo. Ma non più di scrittura. Di lei. E mentre mi parla di quella cappa che sento. Della porta che tengo chiusa ancora.. fra me e me penso: "Maledetto John.. ecco perché volevi che la conoscessi".
Le narro i fatti miei. Tutti. Più o meno. Di papà. Del maschile e di quella cosa che mi manca che sento che lei ha trovato.
"La spiritualità". Dice. Quella meditazione che farebbe tanto abbassare il ritmo delle mie emozioni. "Iperemozioni". Che sono belle e importanti. Ma ogni tanto mi soffocano.
 C'è un maschile che inseguo per placarmi e con cui far pace eppure.. Sto' incontrando donne speciali in questa strana estate 2014.
La mia danzatrice sul Naviglio, Danny e ora gli occhi di Ana. Sono parti di me che mi vengono a cercare. Che chiamo e loro rispondono. Qualcuno riesce a sentirmi. Ora che dico e parlo e chiedo. Finalmente.
La vita si sposta. Nella mia anima s'insinua il perdono per i miei tre cuori fragili. C'è più spazio.
Più spazio per altro. Per altri. Ringrazio gli ultimi due che se ne sono andati.
Significa che c'è altro per me. Sono destinata ad altro. L'ho accettato negli occhi di Ana.
La saluto. Le do' un abbraccio. Secondo me l'ho affaticata.
"Prenditi un gaTo. E vedrai che scarterai alcuni incontri". Lo dice tenendo la sua cagnolina in braccio.
Mi fa sorridere. Il gaTo. Con la sua pronuncia dolce.
Sto' perdendo. Ho meno cuori fragili. Meno falli. C'è il senso della necessità. Stanno andando via da me. Sento libertà. Sento più spazio dentro. Cammino più veloce.
"Tinonino". Il cellulare. "Puoi parlare?". Una voce sommessa chiede aiuto. Mio fratello..
"Si. Dimmi..".





giovedì 17 luglio 2014

Ofelia cade dal piedistallo

Questo blog è nato in analisi. E' stato John che ha voluto iniziassi a scriverlo. E solo ora, a distanza di un anno, ne capisco il valore.
Non è solo un blog. Sta' assumendo le dimensioni del libro che da anni mi dice di scrivere.
E' la biografia della mia analisi e di una sorta di rinascita.
E lo sto' scrivendo senza accorgermene da tanto tempo. A fatica. Lo sto' scrivendo per me e perché magari le mie parole, le mie esperienze potranno dare forza e coraggio a tante altre donne che delle comiche dell'amore hanno fatto la propria tragedia e gabbia.
La mia analisi nasce da una violenza. Anzi, dal limite di un cuore fragile che mi ha insegnato e trasmesso un modo di amare che era solo distruttivo.
Il suo limite nell' accettare che c'era una diversa umanità ( la mia), una donna diversa dalla sua visione ( io) ha ucciso la mia identità.  
Non ho più paura di dire e scrivere. La mia vita è stata limitata. Ci sono stati errori, eventi, percorsi che mi hanno resa infelice.
Mi sono fatta male e sicuramente, di conseguenza, ne avrò fatto. Perché per anni non ho saputo amare. E se non sai amare te stesso, te stessa, non potrai mai amare realmente l'altro.
Ho amato nei limiti della mia umanità.
Non hanno più valore i cuori fragili che ho incontrato. In me hanno trovato terreno fertile. Sono stata complice del male che mi hanno fatto.

"Dovresti scendere dal piedistallo. A distanza di tempo, vedendo le cose da lontano, questa cosa che ti sei sempre posta su un piedistallo mi è ancora più chiara".
Questo me l'ha scritto Cuore Fragile numero tre. Ma prima mi ha telefonato in un cordiale e vuoto scambio di parole.
Chissà a cosa si sarà riferito. A quale dei tanti scritti. E chissà perché l'ha ferito tanto. Coda di paglia?
Ecco. Scendo dal piedistallo e scrivo. Scrivo perché non ho più nulla da nascondere. Non ho paura di perdere. E sono stanca di chi mi avvicina e poi mi rinnega.

Sono più di otto anni che vado da John. Inizialmente entravo con borse della palestra. Correndo. Puntuale e piangente.
Parlavo di Pepe. Del giornalismo. Dell'amore. E piangevo. Del collega che mi piaceva e che mi aveva messa in crisi. Piangevo. Per la vita che avevo perso. Inconsapevolmente e fondamentalmente per quello.
Dal basso il piedistallo sembra così instabile.. E infatti scrivo a Cuore Fragile tre tutta una serie di verità che non vuole capire. Non risponde.
Non vuole mettersi in discussione. Ma solo uccidere una presenza scomoda. Che non serve più. Come Ofelia.

M'interrogo come sempre. Mi chiama Rhett per un lavoro artistico. Poi Fassbinder mi scrive: "Io credevo che tu fossi diverso e che magari la provassi quell'angoscia che certe volte ti traversa il volto e minacciava di esplodere,e invece tu ti paravi il culo. come ogni altro povero stronzo mortale."
E' una frase di Sarah Kane. Riesce a centrare sempre le questioni. E' un genio dal cuore puro e disponibile.
John mi manda un sms. Dice di usare il battipanni con i bambini.
Ma è tardi e devo andare da Danny.
Nel viaggio chiamo Cuore Fragile tre. In fondo sono così stupida da credere che ci sia qualcosa da salvare e che mi voglia bene. O che ci sia da chiarire. E invece non c'è nulla. Non parla. Dice frasi di circostanza. Riesce solo a dire: " Ci vuole del tempo. Non può esserci il dialogo di prima perché c'è un'altra persona". Come se fossi in parallelo con un'altra persona.  Come se la mia parola fosse un tradimento.
Quando a tradire è se stesso e quel che di buono c'è stato in uno scambio con me.
Continua a ripetere " ci vuole del tempo". Chiedo: "Ma cosa vuoi da me?". Risponde ancora: "Ci vuole tempo". Ma per cosa? Sembra in trance. Magari lo è.
Sento benissimo che non è questione di tempo. E' solo una di quelle frasi in maschera. E io non ho più tempo per i non incontri.

Arrivo da Danny. E' una mia cara amica. Anni fa lei stava male. Ci siamo incontrate in una passione. Il teatro. Io ero in piena evoluzione. Non mi fermavo mai.
Tentai di darle tutto il mio amore e la mia energia per aiutarla. Ora è un'altra donna. Sono così orgogliosa di lei e della sua evoluzione. 
Qualche giorno fa mi ha fatto una simpatica scenata di gelosia. Io non riuscivo a capire. Mi voleva. Voleva la mia presenza nella sua vita. Nella frequenza. E non sapeva più come dirmi che io per lei sono importante. E che a me ci tiene. E pensare che io mi ero arrabbiata..
L'ho capito questa sera quando mi ha fatto sentire che incontrarmi per lei è stato importante.
Quando mi ha detto che non sopporta che io continui a buttarmi via e a macerarmi per persone che non valgono la mia energia e la mia presenza.
"Se uno ti vuole bene, te lo fa capire. Non sta' a minuettare con te. Dentro di te hai tutto quello che ti serve. Non perdere tempo prezioso con chi non da' valore alla tua presenza".
Il fatto è che io lo sapevo. Di sbagliare. I Cuori Fragili li riconosco. Sento il loro odore. Eppure spero sempre che con me diventino forti. Oppure devo farmi fare del male. Perché in fondo ancora un po' mi piace.
La abbraccio. "Mi ha fatto bene vederti".
A distanza di anni mi ha ridato l'amore e l'aiuto che le diedi io anni fa.
Risalgo sul piedistallo. Mi provoco in disequilibrio su un piede. Tanto non ho più paura di cadere.







mercoledì 16 luglio 2014

Lettre à Pepe jamais envoyée

John mi aveva mandato un sms domenica. Le sue solite catene.
Inizialmente ridevo. Pensavo fosse anche un po' esaurito.. O comunque banale. Perché le catene sono noiose.. Poi nel tempo ho capito il senso e che le sue "catene" non sono catene, ma segnali.
Non fa mai le cose a caso.
Quella di domenica era, in sintesi, sul valore delle persone che abbiamo incontrato nella nostra vita. E su noi. Su quello che lasciamo agli altri. E sull'importanza di amare anche se poi perdiamo. O soffriamo.
Ho girato il messaggio alle persone che ho nel mio cuore. Amici. Lontani o presenti.
A quelle che sono andate oltre i miei e i loro limiti per incontrarsi con me e se stessi.
E' davvero strano come le persone a cui si è dato di più, per reazione e chiusura, ti abbiano dimenticata e cancellata. A me con alcuni è successo così.
Il mio primo grande amore ( e forse l'unico) non lo sento più. Eppure l'amore per lui è stato oltre ogni limite. Ho vinto tante paure. L'amore per lui era fonte inesauribile di forza. Crescita.
Ho dato a lui e lui a me gli anni della giovinezza. Eravamo tutto l'uno per l'altra. Io sono felice di averlo amato. E' nel mio cuore. Lo sarà per sempre. Una parte di me lo amerà per sempre. E' stato un amore unico.
Lui ha cancellato e distrutto tutto. Solo qualche mese fa ha risposto a un mio sms.
"Non potrò mai dimenticarti. Sto' bene. E riderai.. ora che ti dico che lavoro alla Sagrada Familia". La cattedrale che amavo tanto. Ogni volta che ci salivo sentivo vertigini e un piacevole sentimento di perdizione.
A Barcellona mi portava sempre a vederla. Stavo lì in adorazione. Gaudì. Sentivo percorsi di colori e vita.
Ho ritrovato la lettera che gli scrissi tre anni fa circa. Dopo il nostro ultimo incontro. Non la inviai mai.

"Amore mio. Ti scrivo. E se riuscirò ad inviartela, sarà nel momento in cui non mi aspetterò una tua risposta o una tua lettura.
Ma davvero, forse, un giorno riuscirai a leggerla e a pensare a me senza odio.

Poche righe per dire che mi spiace tanto di averti detto, dopo il nostro ultimo incontro, che stavo male.
Mi sono comportata in modo così infantile e distruttivo. Ho dato il peggio di me stessa. Ma forse un giorno potrai comprendermi o perdonarmi. La disperazione. O la depressione. Fanno dire cose senza senso.
Non ero pronta per affrontarti. Come lo eri tu. Ero fragile. Troppo. Per l'anno di dolore dietro a mia madre. Il tumore divora il corpo di chi lo ha e di chi lo guarda. E poi supportare mio padre. Non ero preparata a tutto questo. E non ho avuto tempo di pensare a me stessa. O curare la mia "anima", diciamo così. Anima pagana intendo. Sai meglio di me cosa significhi stare dietro ai propri genitori e non essere liberi della propria vita. E non potersi permettere di essere deboli. Adesso la malattia l'ha cambiata per sempre. La mia vita intendo. Perché non posso più decidere liberamente di me. Ho nuove responsabilità. E ho perso il ruolo di "figlia" senza rendermene conto, nonostante io non sia diventata e forse non diverrò mai madre.
Spero che capirai. E che avrai la calma necessaria per ricevere queste parole. Me lo auguro, in nome di un bene e di un amore passato.
Con te mi sono permessa di essere libera a St.Etienne. E non ho trattenuto nulla del dolore. Mi hai vista nuda. Nelle mie debolezze. Come non ho mai permesso a nessuno. Mi dispiace di averti scelto per questo. Ma noi siamo stati tutto l'uno per l'altra. Un tempo, eravamo una cosa sola. E nonostante tutto questo non esista più, non appena ti ho visto mi sono sentita libera. Di non trattenermi più.

Avevo tanti sogni. E tu eri uno di questi. Non ero in grado di affrontarti ora. Allora. In quei giorni stranamente caldi della nostra St.Etienne, la fredda.
Così sono arrivata al nostro incontro senza la forza necessaria per comprendere quello che volevi dirmi. Accettare di perdere anche te, e per sempre, era troppo. Ma mi recupererò. Spero. Spero in qualche modo di trovare la forza. Di ritrovare la luce dentro di me. Ma soprattutto spero che tu possa perdonarmi per le cose brutte "di cui sono stata parlata". Non ho detto. "Sono stata parlata". Non si dice così in italiano, ma rende bene il senso. Forse puoi capirlo.

E i concorsi. Sono contenta per te. Ho sempre pensato fosse la tua strada. Da sempre. Soprattutto se mi guardo indietro.
A volte penso che forse ho sbagliato ad ascoltare quella crisi dentro di me cinque anni fa. Lo penso quando nel mio letto non ti ho accanto. E non posso più abbracciarti. O sentire l'odore della tua pelle. E sentire che il mio corpo entra perfettamente nel tuo. "On t'a fait pour moi". Me lo dicevi sempre quando stringevi il mio corpo di ventenne. Così piccolo. Dentro il tuo. Il gigante e la bambina. Come mi chiamavi tu.
Mi proteggevi nel corpo e nelle paure.
E' strano come all'improvviso tornino i ricordi. Quelli belli e quelli brutti. Perché anche quelli brutti erano in un certo senso belli. Avevano un senso nel nostro percorso.
Non avrei dovuto ascoltare la crisi che mi portava via da te. Eppure non potevo continuare a vederti star male a Milano e di conseguenza sentirmi in colpa. Perché era così che io ti percepivo. Infelice in Italia. Ma forse non lo eri. Così mi sono ascoltata.
Ho agito con una razionalità spietata che mi ha tanto ricordato la tua, quando mi parlavi questi giorni a St.Etienne.
Il tuo cuore e i tuoi occhi mi dicevano una cosa, ma la tua testa aveva la paura che demanda alla razionalità.
Mi dicevi che con il cuore avevi già amato e sofferto. Mentre le tue dita tremavano. Sono stata sempre un po' più forte ad accettare i pericoli del nostro amore difficile.
Ma forse me la voglio solo raccontare. Perché mi piace così.
Dopo alcuni anni alla mia domanda "Esiste l'amore e amo dunque Pepe?", ho risposto "Si". Ma tu non c'eri già più. Una prima fuga tre anni fa. Il "non ti amo". Fino all'addio definitivo.
Ma tutto questo, i miei dubbi, le parole dette in analisi e queste che sto' digitando a fatica, tutto è una cosa mia. Era una cosa mia la crisi, che in realtà non concerneva l'amore che provavo e provo per te. Chissà se anche tu ti stai nascondendo e scappando dall'amore.
Ero io a non esserci più per me nella mia essenza. In una creatività che era quella che ci aveva fatto innamorare. Tu suonavi e io cantavo. Eravamo il duo "maravillioso" per i nostri amici.

Chissà. Ma io ora devo dirlo a me stessa che ho questo amore dentro. Da anni ho vissuto pensando che avrei potuto ignorare di sentire, ingannandomi di "amare" un altro o di vivere una storia "diversa". Mi dicevo che era giusto così. Che non avrei potuto sopportare la responsabilità di saperti infelice a Milano. Ma l'illusione mi ha resa più debole. E brutta. Non autentica. Solo per paura di soffrire. Mi sono suicidata un po' così, in fondo.

Non conta molto quel che penso. Ma..ma sono sicura che riuscirai nei concorsi. Ho sempre creduto e avuto fiducia in te. In noi e in te. Anche se non esiste più un noi. Se non nel mio cuore.

Ora, ho una verità tra le mani. L'amore che provo. Da sempre. L'ho nascosto. Rinchiuso. Ci ho convissuto. Allontanato. Ma, inconsciamente, ti ho cercato e tenuto in ogni cosa che facevo. Ti ho cercato in ogni ragazzo di cui mi sono invaghita questi anni. Perché benché io abbia intrapreso solo una relazione "instabile", ho cercato un po' di te in ogni ragazzo che mi si presentava. Ma non appena mi rendevo conto di questo, che quello che vedevo e cercavo era una parte di te, sentivo salire un nodo in gola e un bruciore allo stomaco che soffocavo in lacrime e dipingevo in un'espressione senza luce.
E scappavo da quella cosa, riempiendo la mia vita di corse, uscite di chiacchiere per arrivare al "nulla".. Non ho più luce da quando mi sono separata da te. "Mi media naranja". La metà della mela. Ci piaceva pensarlo. E ci faceva ridere che in spagnolo fosse metà dell'arancia.. in italiano fosse metà della mela..
Mi dava coraggio pensare alla forza dell'amore, alla forza del tuo amore. Che andava oltre il mare.
Ho fatto l'amore solo con te. Non ho più fatto l'amore da quando sei andato via. L'amore ha il tuo volto e le parole in spagnolo. I soprannomi in francese. Clementines. Tino e Tinetto.

Ti ho pensato e ti penso ogni giorno. Forse potrò lasciarti andare un giorno dentro di me. Forse. Parlando di te. Scrivendo di te. Uscirà tutto. O forse lo trasformerò poco a poco in note o parole. O in una canzone. E ci conviverò, come ho fatto finora, senza paura e senza soffrire.
"I will turning into a radio song, to forget those red eyes".
Il silenzio che mi hai imposto, non mi sta' servendo molto. Ma questi sono problemi miei. Accetto che non vuoi sapere più niente di me. Anche se non lo comprendo. E' brutale. E' vero. Sei diventato un altro. Di forza. O per disperazione. Sei "single" nella vita, anche se probabilmente non potrai esserlo per sempre.
Cercherò di scriverti quest'ultima lettera. Anche se spero che un giorno potrai guardare a me e pensarmi come qualcosa di bello.

Dopo che ci salutammo quel giorno di luglio.. il 14 luglio.. Dopo la tua visita in seguito alla mia tentata violenza, ho sempre pensato che avremmo potuto tenerci. In modo diverso.
Avevano tentato di violentarmi e tu mi avevi chiamata proprio quel giorno. Ero riuscita a scappare. Almeno mi salvai.
Il giorno dopo ti ho trovato di sera sotto casa mia. Hai preso il primo volo e mi hai detto: " Ciao bambina..". Era l'empatia di un amore che avevamo ascoltato entrambi. Solo io a un certo punto sono diventata sorda. Per paura. Maledetta paura.
Mi sono illusa che avremmo potuto amarci a distanza. Per lasciarti libero. Mi sono illusa che ci sarebbe stata per sempre la tua presenza nella mia vita. Invece, je me suis coupée les ailes. Par peur.
Dopo le parole dette, non lo so se sarà possibile ancora. In realtà spero che potrai trasformarmi e non cancellarmi.

Malgrado le sofferenze di questi giorni e di anni fa, io mi sono sempre sentita amata da te. Non pensare il contrario e non pensarti incapace di amare come mi hai detto. Non mi batte più il cuore come quando stavo con te.
C'è chi pensa e dice che l'amore vero lo si possa incontrare una sola volta nella vita. Almeno mi è stato concesso di toccarlo e provarlo. Anche se non sono stata in grado di alimentarlo nel tempo. Forse non ero pronta e matura per farlo.
Così come non sono stata matura per affrontare un "addio". E ho reagito nel peggiore dei modi.

Parlerò di te, accetterò questo dolore e cercherò di farlo uscire fuori. Senza confonderti o nasconderti in altre storie. Ho imparato questa canzone per te. Ascoltala. La suono con il piano che mi avevi regalato tu. Quando ti sei accorto che stavo morendo. Ora riesco a suonarlo.
Pepe et Annalì vont vivre dans moi. Ils sont là. Comme des enfants qui ont essayé de vaincre la limite.

Je t'aime. "Ti voglio bene". Je t'ai toujours aimé. Meme dans mes moments de silence et de noir. T'es toujours là. Te seguiré toda la vida.

Soignes-toi,

Annalì "



L’unico limite di Einstein: il ‏figlio folle.

Sono giorni in cui m'interrogo sul limite umano. Alla fine è questo che mi fa soffrire.
Non riesco a stare nei limiti. Vedo colori diversi. Ho gusti diversi.
Sono insofferente. Perché incontro solo umanità che si lasciano intrappolare e strozzare dai propri limiti.
Dai contorni del reale. Dai limiti e i perimetri. La geometria stabilita delle relazioni.
Era la materia che sopportavo meno. Geometria. Come la geometria del pensiero e del sentire.
Algebra, fisica e chimica.. biologia. Mi piacevano. Ma geometria era la precisione e la visione dello stolto.
Camminavo sempre sui limiti dei muretti di Portovenere. Aldilà c'erano gli scogli. O dirupi. O il mare.
Dovevo provare e vedere quel che c'era oltre il limite.
I limiti sono le gabbie che racchiudono la nostra umanità. Come se fosse rischioso perdersi nel mare per ritrovarsi veramente.

Ho letto un articolo su Albert Einstein che mi ha stupito molto. Mi è sempre stato molto simpatico Albert. Per i capelli. Il genio. Il coraggio. Riuscì a sfuggire alla Gestapo. A contribuire alla creazione di Israele e a spingere Roosevelt al progetto per la bomba atomica, cercando però di fermarlo quando si trattò di lanciarla sul Giappone.
Non fu "solo" un genio senza limiti.. Eppure, in una cosa fu limitato. Non riuscì a visitare il figlio chiuso in un ospedale psichiatrico. Questo era il suo limite.
Eduard Einstein è il figlio che venne rinchiuso in un ospedale psichiatrico appena ventenne. Era un talento della musica.
Per ragioni sconosciute o di fragilità, divenne ingestibile, violento per certi aspetti e impazzì. Albert lo rinchiuse nell’ospedale psichiatrico di Zurigo. E lo abbandonò lì. Per qualche ragione.

Eduard nacque nel 1910. Secondogenito del matrimonio tra il padre e la scienziata Mileva Maric.  Era un ragazzino sensibile e malaticcio.  Un talento nella musica e negli studi. Cresce a Zurigo con la madre e il fratello Hans Albert. L'adolescenza pare serena. Si appassiona alla psichiatria. A Freud.
Ma nel periodo dell'università, il giovane aggredisce la madre.

Nel ’32 viene ricoverato al «Burghölzli», una clinica per malattie mentali di Zurigo. Eduard ne uscì poche volte. Era destinato a vivere lì e a morirci ( 1965).
Albert e Eduard si incontrarono una sola volta. Nel ‘33. Poi Einstein lasciò Berlino per rifugiarsi in America con la seconda moglie. Albert Einstein era il primo obiettivo dei nazisti.

Fu a Zurigo per convincere il figlio a seguirlo, ma non ci riuscì. Quello fu il loro ultimo incontro.
Insieme suonarono il pianoforte.
Chissà cosa successe tra i due. Eduard restò affidato alla madre, alle cure di quegli anni, agli elettroshock... mentre Albert cominciava una nuova vita.
Einstein ebbe un limite. E fu quello di non riuscire mai a guardare in viso la follia del figlio.
Scrisse: " Mio figlio è l’unico problema che rimane senza soluzione".
Anche Eduard riconosceva il limite nel raggiungere il padre. Si sentiva schiacciato da un padre insopportabilmente geniale e da un oscuro passato famigliare.
Da un'umanità e un'etica discutibile del padre. Pare che Albert abbia avuto una bambina con la prima moglie. Ma quando erano ancora troppo giovani e squattrinati al punto da darla a balia per perderla quasi subito.
Se ne disfecero in pratica. Ma non si sa bene quale fu la sua fine. Eduard non era l’unico «problema senza soluzione».
Il limite di Einstein era il buco nero o l'inconoscibile della mente umana. Al punto da chiudere questo limite in una scatola senza ritorno. Il peso di un'umanità fuori dalle regole e dagli schemi.. Era il suo limite.
Per quel limite un uomo morì. Eduard pagò il limite di colui che gli diede la vita. Forse perché Eduard non era così forte da fuggire e strapparsi di dosso quel limite per ricucirlo in seguito.
Ho pensato chiaramente a me e a mio padre.
Non riusciva a capirmi. A inquadrarmi. Gestirmi. Sfuggivo alle sue regole e non rientravo nelle formule dei suoi libri.
Anche se la sua curiosità intellettuale e la mia erano un legame forte. Ho pagato il suo limite anche se non ne sono morta grazie ad una sorta di "carattere".
Si dice e si pensa che l'universo non abbia limiti. Solo l'universo. Ma noi non siamo figli dell'universo? Non tendiamo a lui?
Sono sempre più convinta che sia l'amore la risposta al limite. E una capacità di trovarlo con forza e coraggio dentro di noi. Dentro la nostra anima.
Non è un caso che oggi abbia letto queste righe:

" Mi spingi oltre i miei limiti
e sento di vivere appieno la mia stessa vita,
in te ho incontrato me stesso
e ho guardato oltre,
oltre ogni inimmaginabile limite.
Ho guardato nel profondo dei tuoi occhi
cercando di comprenderti
ma, ho visto tutto quello che di me
mai avrei voluto vedere.
Ho visto la mia fragilità e la mia insicurezza
i miei sensi di colpa e i miei complessi
le mie paure e la mia insofferenza
ho visto le mie tenebre e i miei demoni
allora, ho guardato ancora oltre
e nel profondo del mio cuore, un mare in tempesta,
un oceano immenso dove tuffarsi e perdersi
e lì nel profondo della mia anima ho compreso!
Ho provato piacere e orgoglio
nel capire quello che oggi provo
nel sapere chi oggi sono veramente
adesso so che amo le cose belle
so che amo tutto quello che la vita mi offre
e una di quelle sei tu"

dal libro "Undici minuti" di Paulo Coelho




lunedì 14 luglio 2014

Sono come tu mi vuoi..

Tengo lo sguardo fisso non perché io sia timida. Sconcertata. Ecco. Sì.
Sono molto sconcertata.
Non sono emozionata e non risento dell’attenzione curiosa e avida che mi
state dedicando. Figuriamoci!
Ci sono abituata. Per tutta la vita gente come voi mi ha fissato con gli
occhi lucidi, prima di lanciarsi su di me per… sapete benissimo tutti per
fare che cosa.
Ed io sono sempre stata disponibile. Mi sono lasciata guardare, odorare,
palpeggiare, tagliuzzare, inforcare, leccare e mordere e anche pasticciare e
consumare a più riprese, dopo un breve riscaldamento.
Scusate se la voce mostra qualche esitazione. Non sono raffreddata. Anzi,
sono bella calda. Non è nemmeno l’età. Sono ancora così fresca!
È … è... l’angoscia, sapete.
Penso che tutti abbiate provato almeno una volta nella vita… qui non ci
sono politici vero? Perché loro, beh loro la vita se la gustano senza
scrupoli e incertezze... ma voi avete sicuramente provato quella sensazione
di avere il respiro tra due parentesi.. e non tonde, ma quadre o graffe ( le
peggiori..).. Quelle che non puoi riaprire se prima non hai risolto il
pasticcio che contengono.
E io non ho la forza per fare i conti con la mia esistenza. Quando è troppo,
è troppo!
Ce l’ho nel dna, io, il pasticcio.
Vorrei tanto sfogarmi e dire tutto quello che… ma voi capireste? E,
soprattutto, io ne avrei la forza? Mi sento così morbida, sotto la crosticina
da dura.
Nessuno mi ha mai veramente ascoltata.
Tutti, da me, volevano solo una cosa. Solo e sempre quella. Invece io.. io
avrei preferito dialogare prima di.... Figuriamoci! E invece.. due
preliminari sbavanti, un guizzo di follia nell’occhio e poi… gnam gnam
gnam gnam gnam gnam gnam!!! ... un sorso di vino, un rutto, un lungo
sguardo di compiacimento… ed io.. io non c’ero già più.
A tutti mi donavo! Senza alcun risparmio..
Quante volte vi siete approfittati di me e avete voluto il bis?!! Eh..? E io
niente. Zitta. Distesa nel mio sugo, avvolta negli aromi, così scottante…
Io vi ho dato tutto e voi? Solo una volgare soddisfazione egoistica.
Perché non vi siete mai preoccupati della mia sensibilità?
Ma no... Non voglio crearvi sensi di colpa…
E' il mondo che è fatto così.. Né io né voi possiamo farci niente.
Sono qui per questo malessere interiore.
“Va’ là e parla!” mi son detta. Magari questo groppo… di grumo zero zero
troppo cotto o di macinato, una scaglia d’ osso, non so… magari, ho
pensato, si scioglie e io… magari guarisco, magari mi passa questo star
male tra sfoglia e sfoglia.
Scusate... io.. io sono una lasagna!


domenica 13 luglio 2014

Il capitale umano

Sarà colpa di Klimt e delle parole che non ha saputo dirmi. E di quel vuoto di umanità che i quadri non hanno saputo riempire.. Sarà colpa di questo mancamento marcato che mi ha portato a vedere Il Capitale Umano.
Avevo una lista di persone da vedere. "Addirittura una lista?" mi aveva scritto stupito cuore fragile tre. Addirittura. Si. Sarà quella di Schindler. Quelli da salvare. Il mio capitale umano. 
Oggi mi sono nascosta. Ho scritto, ma mi sono nascosta. Ho rifiutato una cena preziosa perché ero nel sangue. Mi sta' succedendo di nuovo di sanguinare spesso. Le mestruazioni mi vengono ogni due settimane. Non è una cosa positiva.
"Ciao. Stai bene? Cosa fai stasera?". E' Otello. Sms. Ma perché mi sta' sempre dietro? Non lo sa che non valgo niente?
Poi ha sei anni meno di me. E' uno dei pochi che non mi ha usata. Non ha mai chiesto niente in cambio. Neanche il sesso.
Io stasera voglio stare da sola. Anzi, voglio andare al cinema a vedere Il Capitale Umano. Virzì mi piace. E il titolo ci sta' con il "mood" di questo periodo.
Quindi scrivo ad Otello e gli dico " Stasera cinema. Se vuoi ceniamo insieme, ma io non ho niente in casa". Gli dico l'orario del film e dopo trenta minuti è sotto casa mia con la spesa fatta, sorridente e mi chiede "Salgo?".
Non sono il massimo. Ho il viso tirato. Il mio ventre mi fa male. Metto a posto le cose che mi ha comprato e andiamo al cinema. Si fida delle mie scelte.
Il cinema è in un centro Commerciale. Non mi piacciono i cinema dei centri commerciali. C'è parcheggio, ma entri dentro e sembra di essere al luna park. L'odore forte dei popcorn. Tutto uguale. Di plastica. Amo i cinema del centro. Particolari. Con l'odore di "umanità". I cartelloni fuori.

La sala è vuota. Ride Otello. " Con te sempre filmoni eh? E' andata bene che non ti sei messa a litigare per avere il posto migliore..". Sono un po' spenta oggi. Mi lascio prendere in giro. Devo indagare il capitale umano.
Il film inizia. Siamo in Brianza. Un cameriere da catering, neanche più giovane, torna a casa a notte fonda con la sua bicicletta. Un Suv lo schiaccia lasciandolo agonizzante. Vittima di un pirata anonimo. E già mi sale il magone. Perché con mia madre fecero proprio così. La mia vita inizia con un capitale umano senza valore.

Il giorno dopo ( nel film) la vita di due famiglie, di differente scala sociale, viene toccata e collegata da questo evento. Uno ad uno sfilano i protagonisti. Il padre della giovane ragazza. Ingenuo. Stolto e credulone. Titolare di un'agenzia immobiliare. E' pronto a giocarsi quello che non ha per entrare nel fondo fiduciario del magnate della zona al quale accede per un eccesso di fiducia e grazie all'entratura garantitagli dalla figlia, fidanzata con il giovane rampollo della ricca famiglia. Poi c'è il magnate appunto. Cinico e competitivo. Perfetto prodotto brianzolo. Inno del cattivo gusto. Poi ci sono le moglie. Dell'uno e dell'altro. La prima psicologa. Presa dalla sua missione e dall'imminente maternità. La seconda è la sposa tonta con il sogno del teatro. Stordita e svuotata nella ricchezza e dal troppo avere. Poi i rispettivi figli. Complici dell'orrore in questa tragicommedia. Che non fa ridere. Anche se ci prova con Dino ( Bentivoglio).
Ci sono padri che non sanno fare i padri. Presi dai soldi. Dalla crisi. Dal valore d' imporsi e riconoscersi. I figli che inseguono il vuoto degli affetti facendosi male. Costruendosi maschere. Non incontrandosi mai.
Non c'è sostanza. Non c'è amore. Ci sono scontri. Persone che si usano per colmare i propri vuoti.
Non esiste nulla. C'è il sesso tra l'attrice mancata e l'insegnante di storia del teatro. Che enfatizzano di significato nell'altro ciò che non hanno avuto il coraggio di trovare in se stessi. E poi finisce lì. Nel sesso. Perché il desiderio vero. Il ripieno della vita. Quello costa umanità. Fatica. 
C'è la disperazione che sento questi giorni. Il non valore della presenza dell'essere umano. Siamo solo numeri persi e contabilizzati.
Alla fine il ciclista muore. Non dovrei dirlo, ma muore. La sua vita vale 238 mila euro. Le assicurazioni la chiamano il Capitale Umano.

A me al lavoro lasceranno a casa a settembre. Mi hanno mandato a parlare con Intoo. Un'azienda di outplacement. Due professionisti del settore parlavano di numeri, contratti e risorse. Ragionavano come se fossi una mucca.
Parlavano di spendibilità. Di mercato. Di forza commerciale. Di percentuali. Bilanci. Numeri. Andamenti. Mi sembravano due pazzi. Una aveva un difetto di pronuncia e sputacchiava. La sua saliva che arrivava sino alla mia postazione, era la cosa più umana che mostrasse.
Non è che perché il mondo va così, pensa così e parla così io debba dargli retta. Ho messo una maschera e li ho ascoltati. Mi faccio attraversare, ma a me, francamente, tutto questo fa proprio paura.
E sono anni che me lo faccio andare bene per un senso di responsabilità. O sopravvivenza. Sono orgogliosa e non sopporto di dover dipendere economicamente da qualcuno. Solo per questo ho ingoiato ore e ore in lavori che parlavano senza dire. Ma questi giorni.. sanguino. Forse per colmare il vuoto dell'umanità che ho incontrato.
La sera prima d'incontrare i due tizi di Intoo, cuore fragile tre mi aveva "licenziata" con una telefonata dopo mesi.
Ho pianto giorni per il non valore e il capitale umano. Finito. Non ero più indispensabile. Bisogno terminato. Eject. La morte. Senza parole. Non c'è niente da dire in fondo. Siamo abituati al supermercato dei sentimenti. Ero una scatola di Simmenthal a scadenza ravvicinata.
E poi sono io la pazza.. Come la mucca.
Il capitale umano. Parla dei nostri giorni. Di me. Di una società decadente. Mi viene da piangere. Nei titoli di coda poi vedo che tra le comparse c'è Silvia. E' una mia amica attrice. Una ex di cuore fragile due. Una tipa stramba che aveva tentato di sedurmi per tornare con cuore fragile due. Lei in piena crisi matrimoniale.
Mi sono tornate le immagini di questi ultimi due anni e mezzo. Di vuoto umano. Dove non è rimasto niente delle persone incontrate. Sento un forte senso di sgomento.

A cena con Otello sono pensierosa. Non parlo. Ho lo sguardo perso. "Sei nel tuo mondo? Sei cambiata come sempre..". Dico che il film mi ha colpito. Invidio la sua semplicità.
Tenta di scrollarmi. In modo forte e un po' primordiale.
Non sopporta che io soffra. O che esponga il mio lato oscuro. Almeno con lui. Lui sorride sempre. 
"Mi ha toccata il film. Non siamo uguali io e te. Faccio schifo. Perché mi sopporti e mi stai ancora dietro? Puoi trovartene una più giovane e semplice di me". 
"Perché io ti amo".
E non vuole niente in cambio? Solo la mia presenza? Come Fassbinder. Rhett. John. I pazzi del teatro e la lista di Schindler. 
Ho speranza di vita.


sabato 12 luglio 2014

Sono Andrea. Un AVaTar: Analista Virtuale Transessuale.

A volte le amicizie più belle e vere nascono sulle polveri di un dolore. O sulla fine di un percorso.
"Voglio intervistarti per una ricerca. Per avere la tua opinione di attrice". Non mi ha mai intervistata nessuno. La cosa mi diverte.
Fassbinder è il mio amico speciale. E' un genio. Lui non lo sa.
Non si chiama così. Lo associo io al regista tedesco. Per qualche ragione. Forse perché una delle prime volte che iniziammo a scriverci, a fiume, fu proprio su di lui.
Lo conosco da quasi un anno, ma ci siamo avvicinati ultimamente. Per dolori, opinioni. 
Ha la leggerezza e il respiro dell'arte. Si muove libero e timido sulla vita e tra la gente. Non appartiene a nessuno. Solo a se stesso. Guarda agli altri e al mondo con lo sguardo dell'altrove. E' un fiore e ho sempre il terrore che qualcuno lo possa calpestare. Perché va difeso. Come un patrimonio per me.
E' diverso dalle persone che ho conosciuto finora. E' quella diversità che mi fa sentire meno sola nel credere che ci possano essere tante parti di noi nel mondo. Senza giudizio. E che non tutto debba rientrare negli schemi.
So che qualsiasi cosa dirò, la capirà. O che mi farà capire o trovare una soluzione a quello che tento di spiegare. E' una fortuna.
Quando penso alla Bellezza, alla vera Bellezza, penso a lui. Alla capacità di vederla.

Parliamo di energie maschili e femminili. Ma questo è il suo lavoro. Non voglio scriverlo. Voglio leggermi attraverso di lui.
Però io sono anche Andrea. Ho paura a raccontargli la mia esperienza, eppure sento che gli servirà. Sarà utile alla sua ricerca e al suo libro.
Ho creato un personaggio. L'uomo ideale. Andrea Farnese. Ha una sua storia. Una sua vita. E' come se fosse il personaggio di un mio racconto. Anzi lo è. Poi l'ho messo in un "account" e l'ho fatto vivere come Avatar. Come se fosse il guanto di un personaggio teatrale. Andrea era nato come un esperimento sociale. Umano. Per moltiplicare le infinite parti di me che non riesco a rinchiudere.
Sono diversamente madre. La mia femminilità e maternità è infinita e rigogliosa.

Ho partorito Andrea. E come Andrea ho conosciuto tante donne. Anzi, tante donne hanno iniziato a cercarmi perché "pubblicavo" parti del mio femminile e di me che non riuscivano a trovare negli uomini "normali". La mia era una sensibilità fuori del comune.
Più donne mi hanno lasciato il numero di telefono in messaggi privati. Dedicato canzoni. Ero stupito e imbarazzato perché ero me stesso, anzi me stessa nella risposta e nella voce dell'anima. Ma tutte mi percepivano uomo. Un uomo speciale.
Non ho mai usato Andrea per motivi personali. Eppure nel reale stavo vivendo una relazione tormentata. Quella con il cuore fragile numero due. La classica storia: lui, lei e l'altra. Ho voluto conoscere l'altra che magari era la "lei" e io ero l' "altra". Ero stufa della solita cosa.. un po' primordiale. Era indeciso tra due.. Perché non viverci entrambe alla luce del sole? Non sta' bene?
Ci sono le famiglie allargate. Perché non vivere anche i rapporti allargati? In fondo lui mi definiva la donna più "intelligente" che avesse incontrato. Ed ero troppo. Lo leggevo troppo.
Non ha mai voluto dichiarare e vedere cosa sarebbe successo. Affrontare i fantasmi. Togliere le gelosie e i tabù. Quelle tipiche comicità dell'amore che svuotano di senso gli incontri, ma forse hanno fatto scrivere commedie ed accadere omicidi.
Le relazioni sono più complesse degli schemi che ci hanno imposto. Ci sono infiniti amori e colori paralleli. Poi ci chiudiamo nell'assoluto per paura di non ritrovarci.
Come se tutti fossimo in grado di vivere un'unica relazione.
Così decisi di rompere gli schemi a modo mio. Con la mia creatività. "Pazzia" dice cuore fragile numero tre. Perché lui ha bisogno di essere razionalmente chiuso e protetto per sopravvivere.

Ho deciso di conoscere la donna con cui condividevo cuore fragile numero due. Come Andrea. Nel tempo. In poco tempo lei si è innamorata di me. Ha capito che ero più "vero" di un reale che la stava fondamentalmente risucchiando. E sono stata uomo. Energeticamente uomo.
Ho desiderato l'altra ad un certo punto. Non mi vergogno. E' stata una sensazione nuova. Bella. Forte e diversa. Erotica. Profondamente erotica e diversa.
C'era un livello tale di empatia e di condivisione di un qualcosa che alla fine per me lei era diventata più interessante del cuore fragile numero due. E ho capito che sia lei che io stavamo cercando parti di noi nell'altra, attraverso di lui. Lei cercava me e io cercavo lei. Siamo così diverse alla fine.
E in quel colmare, in quel raggiungere e scoprire parti sconosciute nostre, io forse ho trovato quella femminilità che mi mancava e lei il mio maschile raffinato.
E' difficile da spiegare, ma qualcosa di buono, nella parola, è successo. Lei si è innamorata di se stessa attraverso di me. Ha chiuso una serie di relazioni sbagliate. Compreso cuore fragile numero due che la stava usando per i soldi.
E' rinata. Tanto che i suoi amici le dicevano che la trovavano più bella, sorridente e con una luce diversa. 
E' stata una relazione d'amore. Alla fine. Continua ancora adesso. In modalità diversa. Ho evitato ogni tipo di scambio erotico. Nella parola. C'era stato. Inizialmente. Ma l'ho eliminato nel momento in cui mi sono resa conto che stava diventando rischioso e poco arricchente. Poco vero forse dal momento che lei mi pensava biologicamente uomo. Ma per me l'idea di fare l'amore con una donna, in quel momento, con il guanto del mio personaggio, era qualcosa di estremamente naturale. Quasi contraccettivo..
Era come sentire senza prendere malattie o rischiare d'ingravidare inutilmente l'altro.
Andrea Farnese, all'ordine del giorno Andrea Supermaxieroe, sono io. E' l'uomo perfetto. L'uomo dalla mente androgina. Che secondo Virginia Wolf era la mente ideale dello scrittore.
Ecco, forse, lei si è innamorata di quella mente androgina. Della mia scrittura.

Smetto di dire. Fassbinder ha registrato tutto con il suo registratore. Compresi i miei silenzi ed imbarazzi. Cerco di capire un pensiero, un'opinione. Ma lui non dice niente.
"Sei sconvolto?".
"No, non so se io riuscirei a farlo o se potrei portarlo nel tempo senza rischiare che l'altro mi dia del frocio". Mi fa sorridere e pensare. E vedo che in qualche modo la mia esperienza "letteraria" lo sta' facendo pensare e portare in altre scoperte.
Cuore fragile numero tre aveva letto Andrea come qualcosa di "non etico". E chissà cos'è etico poi.. Per me è meno etico il dolore, la sua "fuga" e il suo innamorarsi repentinamente per un riconoscimento.
Alla fine il mio Andrea ha amato e salvato una donna. Lei non smette di ringraziarmi per le parole e il tempo che le ho dedicato nel leggerla.
Forse sono stato un analista virtuale. Il primo analista virtuale transessuale.
Rompiamo le definizioni. L'ho amata. Pazzia o no. Etico o non etico. E' stato amore vero ed ha salvato.
Fassbinder mi guarda in silenzio. Forse ha capito che il nostro incontro non è casuale. Che sono una buona complice per rompere i limiti e gli schemi che stavano strozzando entrambi. Scopriremo noi stessi nell'arte, tra una crisi e un fragile cuore di cristallo che s'infrangerà nel mio ventre.