venerdì 17 ottobre 2014

Head over feet

Ciao Diego,

"Il cuore ha le sue prigioni che l'intelligenza non apre".
E' una piccola pergamena di carta verde che regalano al Be Bop. Abbiamo scelto il messaggio tutti e tre. Io, tu e tua madre. E a me è capitato questo. Mi hai sorriso dicendo: " Proprio a te che sei la più intelligente qui dentro doveva capitare questo...!".
Erano mesi che non ci vedevamo.
Ero così nervosa che non riuscivo a trovare un vestito adatto per questo nuovo incontro. Niente che fosse troppo provocante o troppo da artista sinistroide.. e così ho messo il tailleur blue. Con la giacca. I miei stivali grigi. Poco trucco. I capelli lunghi che non taglio più da mesi. Come se volessi restare neutra. Come se io potessi esserlo.
"Mi sono vestita come la preside delle medie!". Ti ho scritto.
"Bello!" mi hai risposto.
Sono arrivata in perfetto orario. Con tanta paura. Te l'avevo anche scritto. In un sms nel pomeriggio.
Era da gennaio che non ci vedevamo. Sono successe così tante cose in questi mesi. Dentro di me e nella mia vita. Mentre guidavo mi chiedevo se fosse il momento. E se mai avessi avuto voglia di sapere.
Forse non lo era. Ma sentivo che c'era un senso. Come se il tuo desiderio di rivedermi fosse legato a un processo. Ad un percorso. Tuo, ma anche mio.
Quando sono arrivata davanti al ristorante, con la mia kia piena di "botte", mi sei venuto incontro. Ho tirato giù il finestrino. Ci siamo guardati a lungo.
Ed è stato come se non fosse passato neanche un giorno. Per me. Neanche un'ora da quella mattina in cui salutai te, Jack e al tuo "Ci sentiamo dopo?", piangendo risposi "No. Per un po' no. Non ce la faccio più a continuare così".
Me ne andai con la morte dentro. Tu alla finestra a guardarmi mentre mi aprivi il tuo cancello per l'ultima volta.
I mesi invernali nel tentativo di dimenticarmi dell'amore che provavo. Di te. Di me. Delle possibilità.

"Ciao.."
"Ciao.. metto l'auto nel garage qui sotto".
Mentre risalivo a piedi, per tornare di fronte al ristorante, mi hai sorriso da lontano. Poche parole. E un abbraccio forte. Lungo. Mi hai dato un bacio. Era quasi naturale. Automatico. Forse, ma ti ho detto: "No, ti prego.. non rendermi le cose difficili". Ti sei messo a ridere mentre arrivava tua madre.
"Ma che bella sei. Ma non ti ricordavo così bella. Con questi occhi.." . Mi aveva vista recitare. Alla Mala. Là avevo i capelli raccolti. E non ero io. O si. In parte. Sono più demoniaca sul palco.

Il Be Bop è un ristorante raffinato. Mentre scelgo il mio rotolino verde, il mio messaggio, mi dici: " E' uno dei primi locali dove ho iniziato a suonare. Ora fanno solo cucina".
Mentre attendiamo gli antipasti di pesce, tua mamma mi da' una marmellata fatta con le arance amare di Framura. Vive lì. Vicino a casa mia, in Liguria, da tanti anni. Anzi, vive anche lì.  Tra Milano e la mia terra.
Parla di sé. Delle cose che ha fatto. Della sua galleria d'arte. E la storia surreale e divertente su quel francese.. nato etero che si è riscoperto bisessuale e con la passione per il travestimento sposando poi una famosa sarta novantenne...
Mi hai detto: "Stai pensando di scrivere una storia su questa roba vero?", Beh si.
Tua mamma è vitale e originale. Ha quella follia artistica in cui mi ritrovo. E penso anche "Che madre impegnativa deve essere stata..". Penso alla mia piccola mamma. Nella pienezza di questa parola che mi abbraccia d'amore.. dopo perdite e mancanze fatali.
Parliamo tanto, io e lei, mentre tu di tanto in tanto esci con e per la tua bulimia telefonica..
"Ma dove andrà sempre?!?" ti ha sgridato lei. Io ormai mi astengo. Mi sembrano lontani i giorni in cui ti "controllavo". Anche in questo. Con la paura di un tradimento. Non ha più importanza. Forse perché sto' iniziando a comprendere che l'unica ad avere il potere di tradire e tradirmi, sono solo io. E lascio a tua madre la comicità della coppia con te..
Il famoso bene profondo, quello che resta di cui mi parlava sempre John, mi fa stare seduta in questo ristorante. E perseguo quello.
E tra una grigliata di pesce, un risotto e il tuo hamburger di ricciola arriviamo a mezzanotte. Tua madre mi sgrida perché ho mangiato poco. Ha ragione.. Ma mi sono nutrita delle sue parole. Della sua vita da femminista coraggiosa e amante dell'arte. Dei racconti sulla sua galleria d'arte che ha visto passare quella che per me è l'unica vera arma dell'essere umano: la creatività.
Usciamo dal ristorante. Faccio una capatina in bagno mentre passano "Head over feet", versione jazz di Alanis Morrisette. Una delle mie preferite..
Tua mamma vuole farmi vedere la casa. Mentre andiamo, lei mi prende a braccetto, tu ti fermi in un locale sulla strada dove fanno una rassegna jazz. Riconosci alcuni amici che suonano e dici: " Qui ho suonato tantissimo anni fa con..." e sembri un bambino che ha ritrovato il suo gioco.
Ti fermi lì mentre io vado da tua madre pensando " e meno male che non voleva più suonare..".
La casa di tua madre è colorata.. piena di quadri di un suo ex compagno pittore. Ci sono tanti libri. Un camino e le sue foto. Quella dove ci sono particolari del suo volto ingranditi. Sembra la Gioconda. Era una bella donna. Lo è ancora.
Mi parla ancora della sua galleria d'arte. "Una ragazza è venuta qui perché sta' facendo una tesi sulla mia galleria". E lo dice con ardore.. "Non ero consapevole.. noi non eravamo consapevoli che stavamo vivendo momenti irripetibili. Che non sarebbero più tornati". Un po' invidio quel suo passato. Quello stato di grazia. Da' da mangiare a Jack. Poi vedo due disegni. "Sono di lui. Del Rubino. Il mio pittore. Prendili se vuoi. Li ho ritrovati in una soffitta. Li avrà fatti quando eravamo in Sardegna con Diego".
Ma non li ho presi. Mi sembrava di rubarle qualcosa.
Sulla libreria noto la stessa foto che hai anche tu, accanto al tuo letto. Lì sei giovane e hai un sorriso pieno di vita. "E' la stessa foto che ha Diego" dico.
"Ah si?" dice sorpresa. Come se non si aspettasse che tu tenessi una foto con lei in vista.
Beh, non è in vista in realtà. E' sul tuo soppalco. Accanto al letto. Tra spartiti e mozziconi di sigaretta..
La saluto e scendo con Jack. Vengo da te al locale. Mi presenti e tratti come la tua "fidanzata". Non so come fare. E infatti ci pensa Jack: piscia sul leggio di un tuo amico. Io inizio a ridere e tu imbarazzato ti scusi. Non poteva che capitarti un cane che piscia sulla musica...
Metto Jack nella mia macchina e ti aspetto sotto casa. Tu arrivi in scooter. E dici: "Sali da me e facciamo quattro chiacchiere". Si, figurati. Alle due di notte e con questo bell'alito alcolico..
Ma salgo. Gioco con Jack e mentre sto' per lanciare "testa di pollo" mi fermi, mi prendi e dici "Vuoi essere la mia fidanzata?".
E ti offendi perché rido come una matta. "Cosa ridi scema? E' una proposta seria".
"Questa scena l'abbiamo fatta già un sei sette volte in un anno e non siamo andati oltre ad una settimana..".
"No, ma questa volta è sul serio. Io ti amo Annalisa. Resta qui stanotte". E iniziano i "no" e i "si". E tu che non vuoi farmi andare via.
"Perché dovrebbe essere diverso ora?" ti chiedo.
"Perché io sono cambiato. Davvero".
Insomma, non resto. Non sei cambiato. Non ancora. Forse un giorno. Mi auguro un giorno. Per te. Per il bene profondo che ti voglio. Anche senza di me. Come sarà.
Ma io voglio l'amore. Qualcosa di più libero e rigenerante di una serata tra parole illusorie.
E ti rinnovo: "Mi devi sposare. Ora basta. La data del matrimonio. Era maggio scorso, ricordi?".
"Ah già.. si, ti sposo, ma mi devi dare almeno un figlio. E devi cambiare anche tu un po' ".
Rido. E mentre scendo le scale mi urli divertito: "Hai tempo fino a domani!".

La mattina dopo mi svegli con una telefonata e vari sms su tuo padre. Ne avevo parlato a tavola con tua madre. Dici che devi andare a Vercelli. E' ricoverato d'urgenza in rianimazione per una polmonite. Mi dici che è grave. Io non  voglio crederci. Non riesco. E ti do' forza.
Ti ho mandato un sms ieri notte dicendoti "Supererai anche questa. Non serve a molto, ma ti voglio molto molto bene".

Stamane mi hai scritto: "Si che mi serve se me lo dici. Non ce l'ha fatta. E' mancato alle 4 e mezza".
Così strana la vita. Ci ritroviamo dopo mesi. Tuo padre, un fantasma onnipresente per te, se ne va. E io non l'ho conosciuto. Non l'ho mai conosciuto. Ho sempre pensato non volessi farmelo conoscere. E forse è così. Per chissà quale paura. O forse no. Sono solo casi di una passività che ha rivelato la mia totale impotenza.
Mentre mi chiami e mi parli dei sensi di colpa, piangendo, commuovendoti per una parola che tuo padre ti ha detto l'ultimo giorno, io resto zitta. Ascolto i tuoi silenzi. Il tuo pianto.
Ho imparato a capirti e a conoscerti stando lontana. Senza farmi male. Forse mi sono distaccata al punto da poter amare in un bene profondo.
Poco fa mi hai chiamata raccontandomi con lucidità le azioni. Io non posso che ascoltare. Non posso che ascoltarti. Non so cosa significhi perdere un padre. Io ho rischiato di perdere mia madre due volte. E vivo l'idea della morte da quando avevo otto anni. Sospesa. La morte è un'idea che mi ha raggiunta e ingabbiata sin dall'infanzia. Come una spada incomprensibile sulla mia libera iniziativa. Sulle mie decisioni.
Io sono scappata dal mio. Ho temuto la sua morte fino a qualche mese fa. Meno ora. Molto meno ora che è ritornato in una riconciliazione.
"Ci sono cose invisibili, ma presenti. La tua felicità, è la mia. Se tu sei felice, lo sono anch'io. Non l'ho conosciuto. Ho sentito la sua voce che ti diceva questo quella domenica pomeriggio di gennaio. Eravamo sotto le coperte nudi. Avevamo appena fatto l'amore. L'hai chiamato e l'hai messo in viva-voce per farmi sentire. Mi ero messa a piangere. Perché mi aveva commosso il suo timbro tremante. Tu non capivi le mie lacrime. Pensavi fosse per mio padre. Invece era per l'amore. Lui lì ti diceva che ti amava per quello che sei e gli hai dato. Tieni questo amore vivo. Io non posso capire fino in fondo quello che stai vivendo, ma credo che lui il suo obiettivo più grande l'abbia raggiunto.. nel riconciliarsi con te nell'amore prima di morire. Questo solo conta".
Riesco a scriverti solo questo.
Sabato c'ero al funerale. Volevo arrivare da sola, invece per qualche ragione mi hai associata ad un'altra persona. Che mi ha scritto per andare insieme. Invece ho imparato così bene ad entrare ed uscire dalle vite degli altri in solitario silenzio.
Perché non voglio appartenere ad un tuo schema o ad una collezione. Tutto questo non fa altro che non renderti libero. Era per questo che scappavo da casa tua di notte mentre tu bestemmiavi.. Dentro di te.
Sono convinta che non appartenere a nessuno, neanche, soprattutto, a chi ci ha messi al mondo sia l'unica via per l'autenticità. Pur amandoli. Pur vivendoli. Pur essendoci. Pur condividendo. Ma in un cerchio altro. E' quello che insegnerò al mio bambino che verrà. Ad essere libero.
Mi avevi avvisata che ci sarebbero state tutte le tue ex. E Mt. Quella che io pensavo la donna "giusta" per te. La fidanzata che inconsciamente hai comicamente, con la mia complicità, messo in antagonismo con me. Per seguire, forse, uno schema.
Sono stata così stupida da entrarci e rovinare magari un vostro percorso. Ma non c'ero. Non c'ero totalmente nel mio obiettivo di amore.
Possiamo essere migliori di quello che gli altri ci fanno di credere di essere. Possiamo, siamo diversi e autentici. Io sono una donna diversa da quello che mio padre voleva io fossi. Non migliore. Diversa. E la sua violenza nasceva dal volermi ricondurre ad un suo desiderio. Per questo ti ho detto più di una volta: "Si, ma tu cosa desideri?".

Non importa. Vivo in questa utopia di libertà. Ci sono stata sabato. Volevo essere lì. Con il cuore pieno di amore e dolore anche.
Ci sono stata perché ho un bene profondo. E il mio abbraccio voleva aggiungersi a quello di tutti gli altri.
La mia creatività è stata alimentata dall'amore per te. Ho scritto tanto anche grazie a questo motore. E ora ho il bene del distacco. Forse un modo più sano di vivere le relazioni.
Anche se probabilmente noi non saremo mai.
Sei stato bravo questi giorni. Hai gestito con lucidità. Spero che tu possa bilanciare questa forza in un equilibrio solo tuo. Nessuno può permettersi di dirti cosa sia giusto o meno. Nessuno ha le risposte. Nessuno, se non te stesso. Ma devi essere fiero dell'amore che tuo padre ti ha dato. Soprattutto nell'ultimo periodo. Quella cosa così impalpabile deve, spero lo sia, la tua forza.
E' difficile. Molto. Lo so. Ma quella forza d'animo è l'unica sostanza che ti porterà a superare e vivere.
Il dolore che stai provando è tremendo, ma da attraversare.
Scrivo queste cose perché sono quelle che ho capito io. Finora. Un sapere che ti passo. Non per presunzione, ma per bene.
Credo di essere vicina all'amore vero. La mia domanda forte. Magari potrò tornare da Giovanni.  Vederlo e completare il mio percorso. Vedere la donna che sono attraverso lui. Sperando abbia aggiustato il suo apparecchio per l'udito...
Ti voglio tanto, tanto bene Diego. Sono parole che restano grazie al cambiamento..

Don't be alarmed if I fall head over feet
Don't be surprised if I love you for all that you are
I couldn't help it
It's all your fault 



martedì 14 ottobre 2014

Iscritta FIP in quarta C. Mensa Be Bop.

FIDAL, SDAM, FIP... Io sono tesserata FIDAL, ma da questa sera anche FIP. Solo che non è la Federazione Italiana Pallacanestro.. tantomeno un'altra Federazione di atletica, ma sta' per: Fiducia, Impegno, Puntualità.
E' iniziata la prima sessione alle Scimmie Nude. Gaddo questa sera, seduto al centro della palestra, con una cartella in mano, sembrava proprio un allenatore o un preparatore atletico. Pretende le quattro C da noi e che aderiamo perfettamente alla FIP.
Cuore, Coraggio, Curiosità e Concentrazione: sono le quattro C dell'attore. E la C della concentrazione per me è da migliorare. Mi distraggo in continuazione. Le prime tre ci sono.

FIP, invece, non è un nuovo tesseramento, ma Fiducia, Impegno e Puntualità.. E sulla P inciampo. Almeno negli anni passati. Va a braccetto con la C della concentrazione.
Non sono puntuale perché non sono concentrata e non essendo concentrata su me stessa, non posso essere puntuale.
Tanti attori di talento si sono bruciati non avendo quella C e quella P.

PorCo giuda!

Non so nemmeno se sono un'attrice di talento. Mi piace anche tanto scrivere e la musica. Ma sono insicura e in totale disequilibrio rispetto al mio desiderio e a me stessa. Meno, ma ancora, tuttavia.
Sarà un anno all'insegna dell'acquisizione del PC. Della mia aderenza al Partito Comunista? Non lo sopporto. Anche se sono stata di sinistra e innamorata di Bertinotti al liceo, mi sono ricreduta e resa anarchica. Ai margini di una credenza. Per non appartenere.
Quest'anno diventerò una comunistona dai piedi ben saldi al terreno? Il pugno pronto? E il PorCo giuda facile? Devo diventare come Mr D. in pratica.
Domani sera glielo dico. Dobbiamo incontrarci a cena. Io, lui e la sua mamma. Era l'unico modo per incontrarci. Con un giudice. Come negli incontri di boxe o wrestling. Lui si è pure messo a fare kick-boxing ora. Io l'ho fatto per anni. Ho ancora i guantoni e le fasce a casa. Come mi piaceva tirare calci e pugni...
Combattevo contro gli uomini perché avendo imparato bene la tecnica, piazzavo i colpi con "puntualità" e potenza. Era un primordiale modo di fare analisi e prendermela con il mio trauma.
Quindi, domani incontro Mr D. E la mamma. Che mi adora. Anche se secondo me adora tutte le ex compagne di Mr. D.

Torniamo al mio problema con il PC. Ci pensavo questa sera mentre rientravo. Con il mio cappellino nuovo. Una coppola da mafiosa per non dimenticarmi che io sono La Mala. Da qualche parte.
Ma perché ho problemi con quel tipo di PC?
Ho fatto un'auto analisi. E sono finita a pensare al sesso. E a tutti i miei casini. E per arrivare al sesso, sono passata per mio nipote. Ema. Mi fa morire dal ridere. E' così felice di esistere. Ride sempre. Si attacca ai miei capelli e li tira. Guarda tutto e tutti con la scoperta di chi viene da un mondo libero e felice e non comprende la nostra infelicità ingabbiata.
Proprio come i miei animali.. io da lui sto' imparando ad essere felice. E a ricordarmi chi ero. O com'ero. Mia madre dice che gli somiglio. E che da piccola ero una bambina sempre sorridente. Libera. Casinista si, ma felicemente esplosiva. E il sesso o la sessualità li vivevo come qualcosa di naturali. Come ogni essere vivente libero e non indottrinato.
Poi qualcosa è successo. Certamente. Devo scrivere. Devo scriverne. Devo trovare il coraggio di mettere a nudo la mia sensibilità. Di mettere un faro su quel teatro per dare dignità ad una bios mancante.
Ma non qui. Non in questo post. Non ora. Stasera era la serata di tesseramento teatrale. Sono atleta arruolata. Scimmia arruolata.
Anche se nella presentazione di me stessa ai nuovi arrivati, io ero in imbarazzo. Quasi fantozziana. Muovevo le dita. Non sapevo cosa dire, né come.. Così difficile stare realmente nudi, senza un costume come su un palcoscenico.
Poi Gaddo dice: " Vuol dire che siete salvi se ancora avete questa freschezza e paura. E non vi siete impostati usando una qualche tecnica". Meno male.
Io sono a disagio nell'essere Annalisa. Forse perché non sono mai lei. Mi sfugge sempre. E temo sarà così in eterno.
La prima serata alle Scimmie finisce. Esco fuori e ho le mani calde. Il viso caldo. Gli occhi che brillano e il cuore che pulsa. Pulsa tutto. Mi sento viva. Proprio come quando sono innamorata. Proprio come dopo aver fatto bene l'amore.. e con qualcuno che mi ama.
Fuori della sede della compagnia, in strada, tra i trans che aspettano i clienti, metto in scena un'improvvisazione con Ale e Paolo. I miei compagni teatrali.
E rientrando a casa, mi sento felice. Mi mancava il teatro. So già che non dormirò. Fa niente. E' la vita. Il sangue caldo che scorre. L'amore che si fa anche corpo.

"Domani sera ci vediamo al Ristorante Be Bop". E' Mr D.
"Lula?"
"No, come lo stile jazz" risponde serio.

Un ristorante con uno stile jazzista, proprio come lui..
Ho paura. D'incontrarlo. Ma non glielo scrivo. Perché sento che lui ne ha quanto me.. Forse. Forse.

domenica 12 ottobre 2014

WINTER SLEEP

"Sii sincero: pensi che io lanci messaggi da donna da una serata via? E' una mia questione..".
"No! Il contrario!".
Nasce da un confronto con Gian Paolo. E pare proprio argomento degno di questo Blog. Ma non è stato lui a rispondermi. L'ho chiesto direttamente a Mr D.
Mi vergogno un po' a tirare fuori questi post alla Sex and the City.. ma ho parlato di cose troppo "impegnative". O superficialmente impegnative. Eppure Pasolini riempie l'angoscia del senso dell' esistenza. Per me. Come la Pinacoteca e tutte le mostre che rincorro.
Scriviamo anche qualche "minchiata".
Sgrezziamo un po'. Così divento più simpatica. Anche se ieri sera John mi ha detto di andare in profondità. Alla "cosa" come la chiama lui. E ogni volta che dice così, penso al film horror "La Cosa". Sarà per questa associazione che non riesco ad andare tanto a fondo?

Comunque, ho chiesto a Mr D. Qualche sera fa, ho dato di "matto". Ho meno pazienza. Ed ho iniziato una filippica contro pietas, analisi e razionalità. E l'ho fatto a modo mio. " Cazzo Annalisa, anche tu sei umana!". Ha esclamato Mister.
Beh si. Ma io soffro proprio perché sono dentro la mia umanità. Anzi, sono invischiata nella mia umanità. Ho dubbi. Domande.
Questi giorni, in questo periodo, è come se la vita venisse a dirmi e darmi messaggi di chiusura. E'  come se mi si dicesse: "Insomma, adeguati, piegati, smetti di battere sempre lo stesso chiodo, tanto non metterai mai il tuo quadro".
Ne parlo sempre con Fassbinder. Mi sono pure fatta un test idiota sere fa. Risultato: nella tua vita precedente eri un giocoliere da strada, senza fissa dimora e padrone, per questo non trovi il tuo posto in questo mondo.
E che si fotta pure il test! Mi prendono in giro tutti. Insomma, ho rotto piatti e bicchieri. Sere fa. Da sola. Io non me la prendo con gli altri. Me la prendo con me stessa e le mie cose. E poi mi sono messa a scrivere.
"Uscite fuori. Mettetevi nelle parole mostri inadeguati  che vivete dentro di me!".
Ho "tirato" così tutta la settimana scorsa. In un senso di vago divagamento introspettivo. Così oggi mi sono alzata tardi. Ho fatto una corsetta e dopo aver fatto la spesa, mi sono "portata" al Bicocca. Uci Cinema.
E mi sono fatta scegliere dal film. Con Othello. Winter Sleep.
"Ha vinto a Cannes questo"
"Andiamo bene..." mi ha risposto. Lui che guarda tutti i kolossal e i film dove fanno "pum pum pum!! Muori bastardo!!"  o le commedie di plastica.. con me ha visto le cose più strane.
"Speriamo che ci sia almeno qualcuno in sala e non sia vuota come a tutti i films che scegli tu..".
E invece la sala è abbastanza popolata. Ma sono tutti vicini ai sessant'anni oppure ci sono coppie lesbo, con le spalle ritirate e i brufoli da mezza età.
Buio. Le prime immagini sull'Anatolia mi affascinano. Il senso di lontananza. Di deserto.
E' un film sulle distanze. E' stato il primo pensiero. E poi parole. Troppe.
Tre ore e un quarto di parole, silenzi, primi piani, luoghi chiusi e claustrofobici e le inquadrature di una paesaggio isolato. Solo.
Un ex-attore, Aydin, conduce una vita semplice. Ma agiata. Possiede un Hotel le cui stanze sono state suggestivamente incastonate in delle simil-caverne, più alcune abitazioni nel paese limitrofo. Vive con la giovane moglie Nihal e la sorella Necla, ospitando pochi clienti alla volta per via dell'ubicazione.
Rari gli incontri in un luogo dove tutto può solo diventare routine. Pericolosa routine. Devastante routine.
In una delle prime scene un bambino che va ancora alle elementari tende a suo modo un'imboscata ad Aydin, rompendogli il vetro dello sportello dell'auto con una pietra.
Ci vorranno un paio d'ore non tanto per capire il perché di quel gesto, quanto per comprenderne a fondo le motivazioni, accostandosi quanto più vicino possibile alla pesante atmosfera che si respira in quei luoghi quasi spettrali.
Ceylan, il regista, vuole dirci che tutti si trovano sulla medesima barca. Non importa quanto diversi siano i temperamenti, le indoli, e quanto tutto ciò renda incompatibili: da lontano la visione d'insieme ci consente di andare oltre, inquadrando la condizione in cui si trovano tutti. E questo azzera di colpo ogni tesi o ragionamento sostenuti sino a quel punto.
Winter Sleep è mosso da una passione viscerale nel volerci consegnare i limiti, le difficoltà, gli errori (sempre gli stessi), di chi, uomo, neanche in un ambiente del genere riesce a puntare all'essenziale. Aydin ripete costantemente di essere una persona semplice, facendo però pesare come un macigno tale presunta semplicità. Non ci tocca neppure chissà quale fatica interpretativa per rintracciare le peculiarità di ciascun personaggio: ci pensano loro a vomitarsi piccate analisi l'un l'altro.

Ceylan, attraverso uno sparuto gruppo composto da appena qualche elemento, riesce a mettere a nudo noi stessi, ciascuno di noi. E ci riesce con le numerose e talvolta volutamente tedianti conversazioni. Cerca in qualche modo di intercettare quel malessere che aleggia sin dall'inizio, ma che non viene mai esplicitamente manifestato.

È evidente che per riuscirci importante è stato avere un cast di attori eccezionale, coinvolto, pronto. Eppure è troppo lento. C'è un po' troppo esistenzialismo, filosofia sopra le righe.. letteratura...
Othello ha le mani sul viso. Siamo entrati in sala alle 20h30 senza cenare ed è quasi mezzanotte..
Ma il punto è... funziona il film?

Dopo quasi due ore, un paio di signori panzuti, si alzano gridando "Che noia!" e se ne vanno. Othello mi guarda con la stessa richiesta consapevole che se inizio un film, io lo guardo fino in fondo.. Guardo di tutto.

Alla fine di Winter Sleep, se ci si arriva, si è provati: non ci sono scorciatoie. E' come una maratona.
No, peggio. Perché qui ci si aspetta succeda qualcosa, ci sia una rivelazione di un qualche significato e invece.. non succede mai niente. Apparentemente.
Diciamo che non è un film per chi non ama la fatica.. Non è per chi non crede che qualcosa di buono è sempre alla fine di una grande fatica.
Eppure il mio maratoneta nero, uscendo, e ridendo come un pazzo dice:  "Falché, questa è l'ultima volta che vengo al cinema con te lasciandoti scegliere i films".
Vabbé, ha ragione. A vedere questi films ci devo venire da sola. O non me li godo.

"Sono al bar con amici". Sms di Mr D.
"Ah.. io ero a vedere Winter Sleep. Un pornazzo girato al polo nord con pinguini maggiorenni che guardano. Di soliti i pornazzi sono noiosi perché finiscono tutti uguali.. questo, invece, non finisce mai...".

The comedy of love..
Just to find a way out..
Just to find a fake mask of ligthness..
Just to find... just to find..

mercoledì 8 ottobre 2014

Il Dio delle piccole cose

Ho iniziato tanti appunti questi giorni. Tante idee su cui scrivere d' "amore". Questa parola che mi "perseguita" da quando ho iniziato la mia analisi interrotta per un corto circuito. Anche se scrivo ogni giorno a John, Giovanni. John quando voglio tenerlo lontano. Giovanni quando gli permetto d'assumere una qualche dimensione reale o dignitosa nella mia vita. Mi pare banale dichiararlo. Se con Lacan mi cura da anni.
Mi cura da cosa? Dalla fame di amore? Dalla mia ricerca? O la decodifica?
Sto' urlando di nuovo. In modo diverso. Ma io ho sempre urlato. Ora urlo a lui. Dice che io sono cieca e io dico che lui è sordo. In fondo ci amiamo. Ma c'è un corto circuito.

"Lo sai cosa succede quando ferisci le persone? Quando le ferisci, iniziano a volerti meno bene. Ecco cosa fanno le parole sbadate. Fanno si che gli altri ti vogliano un po' meno bene". Il Dio delle piccole cose. E' l'unico Dio in cui credo.

La vita che è dentro di me urla da sempre. Da quando ero bambina. Da quando un incidente mi ha tolto l'amore di mia madre e mi ha lasciato un debito d'amore. Primordiale. E un padre che l'amore lo chiedeva a me e di un tipo che io non potevo dargli a otto anni.
Io ho cercato di comprendere la mia vita e i fatti per non esserne travolta. Non è mica facile. Potevo non urlare e sottomettermi per adeguarmi.

Io penso che nessun essere umano possa vivere senz'amore. Anzi, nessun essere vivente. Proveniamo da quello. E siamo quello. Non è un discorso religioso. Io non sono cattolica. Buddista o altro. Credo che le religioni siano contro l'amore. E creino malati che nell'imitazione di qualcosa di non vero, di non autentico, agiscano senza senso. In nome di qualcosa che non hanno interiorizzato in una verità autentica.
Da qui la violenza. Ma non sono certo io a dover dirlo. Abbiamo sotto gli occhi, anche questi giorni, malati che combattono e uccidono in nome della religione e dell' amore..
Stamane mia madre mi ha chiamata piangendo perché la mia gattina è morta. L'ho scritto anche a John.
Al lavoro piangevo e avevo gli occhi gonfi. "Che ti è successo ti è morto il gatto?". Eh si.
Fa ridere. In fondo scrivo comiche dell'amore.
Eppure questa storia è piena d'amore. Nella sua dimensione di "piccola cosa". E semplicità. Secondo me. Miu era molto anziana. Vent'anni nostri. Tradotti: cento umani. L'ho trovata che avevo diciotto anni. Rientrando a casa dal liceo. Avevo già un'altra gatta. E altri cani in giardino che arrivavano o portavo. Riempivo la casa di animali.
Li "raccattavo" come si dice a Spezia. Una disperazione per i miei, ma io mi sono sempre trovata meglio con gli animali che con gli esseri umani.
Poi non li "costringevo" a vivere come noi, ma rispettavo la loro "animalità". Per cui era un casino. Per i miei. Che invece volevano una convivenza nei limiti. Che io non avevo. Non ho. Non ho. Non una scheda per il traboccare della vita.
Lasciavo liberi anche i canarini in casa che si erano abituati a cinguettarmi sulla spalla. E a scagazzare sulle tende volando ovunque. Sembra il libro cuore, ma se gli "parli" veramente agli animali, li ami veramente per quel che sono e li rispetti, loro ti danno amore. E lo riconoscono.
E Miu ha resistito finché ha potuto. Ha cambiato i miei. Ha curato mia madre. Stamane mi ha detto che l'ha aiutata dopo il tumore. Le stava vicino sul letto, dopo l'operazione, dandole la schiena. E' il loro modo di dirti "Ci sono io a proteggerti".
L'hanno seppellita in giardino. Sotto il ciliegio. L'altra è seppellitta vicino ad un melo.
A tre anni l'avevano avvelenata e l'avevamo portata dal veterinario. "Se supera la notte, resterà cieca". Le aveva fatto delle punture. E lei si era nascosta sotto un mobile in sala. Mi ero sdraiata per terra e l'avevo vegliata così tutta la notte. Le parlavo. Le allungavo la mano e lei quando poteva mi allungava la zampina tremante. Si è ripresa. Non è rimasta cieca.
Le venne un tumore alle mammelle. Venne operata e mia madre le restò vicino. Aveva imparato ad amarla. E lei ha vinto anche quello.
Di contro odiava tutti i miei fidanzati. Pepe non poteva avvicinarsi a me. Othello l'ha graffiato. Sono gli unici due che ho "portato a casa".
Stamane ho detto "la mia Miu". E su questo senso del possesso ho riflettuto. Era mia perché l'avevo trovata io. Ma di lei mi apparteneva l'amore che riflettevo in lei e che ho imparato ad avere. E in lei avevo i miei anni. Sono tanti vent'anni.
Mia mamma non ne vuole più di animali. Dice che le faceva sentire meno la mia lontananza perché era l'ultima presenza di me che le restava e l'aiutava a superare le sue battaglie. Le dava forza per il tumore. Gli ultimi anni vivevano in simbiosi.

Othello mi sta' scrivendo messaggi belli. Anche Diego. Io m'interrogo sul diritto di chiudere il nostro cuore per una sofferenza grande. Una sofferenza grande per un essere tanto piccolo.
Se sia giusto chiudersi e non avere il coraggio o il cuore di dare nell'amore. Per crescere come esseri umani. Anche se ogni nascita e porta aperta implica una fine. E forse un senso di dolore.
Poi ci sono tutte le teorie psichiche e psicologiche. Di cui me ne fotto. Sull'amore evoluto.. L'amore per gli animali è un dato di fatto. Come l'amore per il rispetto della natura. E' sano. E basta.
E' nella condivisione e nel rispetto dell'altro. L'amore è nella natura e nel rispetto per ciò che è altro e diverso da noi. Senza pretendere che diventi ciò che ci fa comodo. Senza usarlo.
Non possiamo esimerci dall'amore.

Sono felice e grata a quel piccolo essere vivente. A lui e a tutti quelli che ho avuto, perché mi hanno insegnato ad amare in una semplicità. A comunicare con me stessa con e nella semplicità anche quando il mondo esterno era incomprensibile nella sua complessa e non detta violenza.
Adesso è vicino al ciliegio. Nel mio infantile desiderio spero torni dal suo Dio. Il Dio delle piccole cose.
 

lunedì 6 ottobre 2014

Imbecilli! Ci uccideranno mille volte! Fino ai non limiti dell'eternità!

"lo non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall'essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca."


Pier Paolo Pasolini era un uomo libero nato in un'epoca difficile. E' morto 11 giorni prima della mia nascita. Anni di caos. Di potere e violenza. Che spesso vanno di pari passo. Ha scritto lui il pensiero con cui apro questo post.

Sono andata a vedere il film di Abel Ferrara con un mio amico. Ero curiosa di vedere come un regista che amo potesse rendere la storia, l'anima di un uomo "oltre" e libero come Pasolini.

E non mi è piaciuto. Non totalmente. Ci sono alcune immagini molto belle. C'è l'intervista in cui lui ancora denuncia il pericolo dell'essere umano. C'è la madre. Ecco, ho pianto in due momenti: alle sue parole con il giornalista e con il pianto della madre. Perché la sua dignità e umanità mi hanno colpita. Il suo contemplare e accogliere un uomo diverso, troppo diverso per quei tempi, senza pretendere di uniformarlo.

Ma tutto il resto del film, a parte l'interpretazione di Dafoe, mi ha lasciata con un senso d'incompletezza. Anche la fine e il sesso.

Sono convinta che Pasolini sia stato fatto fuori. E abbiano usato Pelosi. Ne parlavo con Fassbinder, il mio amico Gian Paolo. Che è un altro poeta. E sono felice di averlo conosciuto e che sia nella mia vita.

Parlavamo della violenza della fine di Pasolini. E mi ha detto: " Carmelo Bene diceva che Pasolini nei suoi film e nei suoi scritti metteva tutta quella violenza perché gli apparteneva". E sono d'accordo. Anch' io sono violenta.
Ogni essere umano lo è. Per natura e perché siamo portati ad esserlo.

Ma Pasolini la metteva nelle sue opere. Nella vita, io non sono mai stata violenta con l'altro. Al limite l'ho subita e l'ho fatta su me stessa.

Ma ne ho scritto. Ho scritto di violenza. La Mala è nata da questa idea. E non sono ancora riuscita a farne quello che vorrei. Ma lei è quello.
Ho solo avuto la percezione, pensando alle mie ultime relazioni di amicizia e "affettive", che nel dire la verità all'altro, non compiacendolo e non tenendolo tra cotone e pubblicità, sia stata trovata  violenta. E poi uccisa nei modi in cui si può uccidere e non trasformare una presenza ingombrante.
Per questo credo sia importante che se ne parli veramente. E credo che Pasolini facesse bene a descriverla in parole e immagini. Per provocare. E dire che esiste. Buttarla fuori in un oggetto altro da sé.

La nostra società è estremamente violenta perché immersa in un'apparente idea di libertà. Ognuno può fare quel che vuole. Senza etica alcuna. Potrei prendere un bastone e rompere la testa o l'ano di un uomo per farmi una qualche giustizia personale.
E pagherei o farei pagare? E in quella modalità di pagamento risolverei l'idea di violenza? No. E' solo un vortice. Verrei strumentalizzata per crearne altra.
E questo continuando a non avere il benché minimo senso della sacralità. Idolatrando e amando feticci. In nome di una libertà che non esiste. Non è quella la vera libertà.

Liberi non siamo. Sto' lottando da anni. Per scrivere la mia violenza. Ecco cosa. Che c'entra con quella fisica, ma che fu soprattutto psichica.

Pasolini non aveva bisogno di farsi ammazzare ad Ostia da un ragazzo di diciassette anni. E di vivere realmente una ferocia come quella. La viveva già nei suoi scritti. Ed era una violenza ancor più vera e forte di quella della strada.

Poi si, era omosessuale. E non lo nascondeva. E perché avrebbe dovuto? Era stato espulso dal partito comunista per questo. E' stato messo al rogo dal pensiero comune.
Perché il "frocio" e la "zoccola" devono esistere nel buio e nel silenzio. Se portate alla luce del giorno non stanno bene. Finirebbe il gioco di potere.

Ho pianto e piango ogni volta che penso alla sua fine. E alla perdita di un'anima come la sua. Piango perché non è stato salvato. Tutelato.

Ci sono anime che non possono essere ricondotte e valutate o misurate secondo una policy dell'orrore comune e comunista. Vanno solo tutelati.. I poeti vanno tutelati.

Dissi mesi fa a John che il mio amico Fassbinder è un poeta. Un uomo oltre. "Lui va protetto e difeso". Non lo so se leggendo questa frase Gian Paolo possa restare male, ma io ho questo sentire.  E questo senso di protezione verso la sua bellezza che non può stare in un razionalismo positivista.


Lessi da qualche parte che Pasolini era un ingenuo in un certo senso. Perché alla fine si fidava di se stesso e della militante libertà. Scriveva e diceva la verità. Era contro l'aborto. Era contro la destra e la sinistra.

Ingenuo perché non si proteggeva dalle bombe pacifiste che lanciava sull'Italia dell'epoca? Perché mai un uomo libero avrebbe dovuto difendersi da se stesso?

Lui non faceva nulla di male se non dire la verità. E chi la dice viene ucciso.

Siamo talmente abituati a non essere che abbiamo bisogno di gabbie per sopravvivere.


" In tutta la mia vita non ho mai esercitato un atto di violenza né fisica né morale.
Non perché io sia fanaticamente per la non-violenza. La quale, se è una forma di auto-costrizione ideologica, è anch'essa violenza.
Non ho mai esercitato nella mia vita alcuna violenza né fisica né morale semplicemente perché mi sono affidato alla mia natura cioè alla mia cultura".


( Pier Paolo Pasolini)

domenica 5 ottobre 2014

Non ho più pazienza

"Non ho pazienza per alcune cose, non perché sia diventata arrogante, semplicemente perché sono arrivata a un punto della mia vita, in cui non mi piace più perdere tempo con ciò che mi dispiace o ferisce.
Non ho pazienza per il cinismo, critiche eccessive e richieste di qualsiasi natura.
Ho perso la voglia di compiacere chi non mi aggrada, di amare chi non mi ama e di sorridere a chi non mi sorride.
Non dedico più un minuto a chi mente o vuole manipolare. Ho deciso di non con-vivere più con la presunzione, l’ipocrisia, la disonestà e le lodi a buon mercato. Non tollero l’erudizione selettiva e l’arroganza accademica.
Non mi adeguo più al provincialismo e ai pettegolezzi. Non sopporto conflitti e confronti.
Credo in un mondo di opposti, per questo evito le persone rigide e inflessibili.
Nell’amicizia non mi piace la mancanza di lealtà e il tradimento. Non mi accompagno con chi non sappia elogiare o incoraggiare.
I sensazionalismi mi annoiano e ho difficoltà ad accettare coloro a cui non piacciono gli animali.
Soprattutto, non ho nessuna pazienza per chi non merita la mia pazienza.”

L'ha detto Maryl Streep. Non so quando. Io l'ho letto per caso, girovagando nel web. E lo scrivo perché la stanchezza che sento questi giorni e la pietas che mi è stata chiesta non è più sostenibile per certi individui. Non più per me. Continuare a stare ferma nell'amare o nel portare avanti rapporti di pseudo-amicizia basati sul "voltafaccia" che non si assumono neanche la dignità di una responsabilità delle non-azioni, mi ha stancata.
Quindi pubblico questo discorso di una persona libera, perché ogni artista lo è in fondo, ogni vero artista lo è. E lo pubblico in un blog nato con un discorso sull'amore. Da una domanda sull'amore.
Esiste? Si. Certo che esiste, ma non ha niente a che fare con il sesso. Niente a che fare con i giochi. Niente a che fare con le commedie. Niente a che fare con l'inseguire e il tentare di dare amore a chi non è in grado di aprirsi o di comprendere, ma che urla a caso per poi scegliere vie di mezzo., sputando sullo specchio per giustificare la propria impotenza.
Amare significa saper attendere e saper affrontare nell'equilibrio. Significa avere pazienza e dare senza la pretesa di vincere sull'altro.
Significa sapere lasciare andare l'altro quando senti che non è più lì. Significa rispettare il suo desiderio.
E sparire quando è il momento di farlo.
Significa spesso non godere. Ecco. E' tutto ciò che non è godimento istantaneo. Anche se siamo abituati ad aprire una busta e si ha tutto. Tutto lì. Pronto e comodo. E quando finisce l'attrazione e ti resta il tempo, cosa fai? Getti la busta? L'amore è creatività e sta' nel fare con l'altro.
In un quotidiano lavoro fatto di attese e pazienza. E fiducia nella forza silente che ognuno di noi dovrebbe coltivare in una sana solitudine. Senza pretenderlo dagli altri. Dall'altro. Che incontriamo per procreare una forma. Una qualsiasi forma.
Se diventassi cieca. Se buttassi via tutto. Se buttassi via tutti gli ornamenti di una narrativa che riempie... se restassi sola con i miei tre atti, la mia azione scenica, i miei personaggi.. in quel nulla apparente, resterebbe la sintesi della mia anima. E l'amore con un peso specifico che non deve appigliarsi a nulla. Se non alla creatività.
L'amore vero è spesso una gran rottura di coglioni. Apparente. Perché esente da quel finto godimento di cui ci hanno riempito la testa per non essere mai e risucchiare la vera essenza.
E nessuno vuole restare solo con se stesso. O conoscersi realmente. Riempiamo e basta. Di nulla.