mercoledì 16 luglio 2014

L’unico limite di Einstein: il ‏figlio folle.

Sono giorni in cui m'interrogo sul limite umano. Alla fine è questo che mi fa soffrire.
Non riesco a stare nei limiti. Vedo colori diversi. Ho gusti diversi.
Sono insofferente. Perché incontro solo umanità che si lasciano intrappolare e strozzare dai propri limiti.
Dai contorni del reale. Dai limiti e i perimetri. La geometria stabilita delle relazioni.
Era la materia che sopportavo meno. Geometria. Come la geometria del pensiero e del sentire.
Algebra, fisica e chimica.. biologia. Mi piacevano. Ma geometria era la precisione e la visione dello stolto.
Camminavo sempre sui limiti dei muretti di Portovenere. Aldilà c'erano gli scogli. O dirupi. O il mare.
Dovevo provare e vedere quel che c'era oltre il limite.
I limiti sono le gabbie che racchiudono la nostra umanità. Come se fosse rischioso perdersi nel mare per ritrovarsi veramente.

Ho letto un articolo su Albert Einstein che mi ha stupito molto. Mi è sempre stato molto simpatico Albert. Per i capelli. Il genio. Il coraggio. Riuscì a sfuggire alla Gestapo. A contribuire alla creazione di Israele e a spingere Roosevelt al progetto per la bomba atomica, cercando però di fermarlo quando si trattò di lanciarla sul Giappone.
Non fu "solo" un genio senza limiti.. Eppure, in una cosa fu limitato. Non riuscì a visitare il figlio chiuso in un ospedale psichiatrico. Questo era il suo limite.
Eduard Einstein è il figlio che venne rinchiuso in un ospedale psichiatrico appena ventenne. Era un talento della musica.
Per ragioni sconosciute o di fragilità, divenne ingestibile, violento per certi aspetti e impazzì. Albert lo rinchiuse nell’ospedale psichiatrico di Zurigo. E lo abbandonò lì. Per qualche ragione.

Eduard nacque nel 1910. Secondogenito del matrimonio tra il padre e la scienziata Mileva Maric.  Era un ragazzino sensibile e malaticcio.  Un talento nella musica e negli studi. Cresce a Zurigo con la madre e il fratello Hans Albert. L'adolescenza pare serena. Si appassiona alla psichiatria. A Freud.
Ma nel periodo dell'università, il giovane aggredisce la madre.

Nel ’32 viene ricoverato al «Burghölzli», una clinica per malattie mentali di Zurigo. Eduard ne uscì poche volte. Era destinato a vivere lì e a morirci ( 1965).
Albert e Eduard si incontrarono una sola volta. Nel ‘33. Poi Einstein lasciò Berlino per rifugiarsi in America con la seconda moglie. Albert Einstein era il primo obiettivo dei nazisti.

Fu a Zurigo per convincere il figlio a seguirlo, ma non ci riuscì. Quello fu il loro ultimo incontro.
Insieme suonarono il pianoforte.
Chissà cosa successe tra i due. Eduard restò affidato alla madre, alle cure di quegli anni, agli elettroshock... mentre Albert cominciava una nuova vita.
Einstein ebbe un limite. E fu quello di non riuscire mai a guardare in viso la follia del figlio.
Scrisse: " Mio figlio è l’unico problema che rimane senza soluzione".
Anche Eduard riconosceva il limite nel raggiungere il padre. Si sentiva schiacciato da un padre insopportabilmente geniale e da un oscuro passato famigliare.
Da un'umanità e un'etica discutibile del padre. Pare che Albert abbia avuto una bambina con la prima moglie. Ma quando erano ancora troppo giovani e squattrinati al punto da darla a balia per perderla quasi subito.
Se ne disfecero in pratica. Ma non si sa bene quale fu la sua fine. Eduard non era l’unico «problema senza soluzione».
Il limite di Einstein era il buco nero o l'inconoscibile della mente umana. Al punto da chiudere questo limite in una scatola senza ritorno. Il peso di un'umanità fuori dalle regole e dagli schemi.. Era il suo limite.
Per quel limite un uomo morì. Eduard pagò il limite di colui che gli diede la vita. Forse perché Eduard non era così forte da fuggire e strapparsi di dosso quel limite per ricucirlo in seguito.
Ho pensato chiaramente a me e a mio padre.
Non riusciva a capirmi. A inquadrarmi. Gestirmi. Sfuggivo alle sue regole e non rientravo nelle formule dei suoi libri.
Anche se la sua curiosità intellettuale e la mia erano un legame forte. Ho pagato il suo limite anche se non ne sono morta grazie ad una sorta di "carattere".
Si dice e si pensa che l'universo non abbia limiti. Solo l'universo. Ma noi non siamo figli dell'universo? Non tendiamo a lui?
Sono sempre più convinta che sia l'amore la risposta al limite. E una capacità di trovarlo con forza e coraggio dentro di noi. Dentro la nostra anima.
Non è un caso che oggi abbia letto queste righe:

" Mi spingi oltre i miei limiti
e sento di vivere appieno la mia stessa vita,
in te ho incontrato me stesso
e ho guardato oltre,
oltre ogni inimmaginabile limite.
Ho guardato nel profondo dei tuoi occhi
cercando di comprenderti
ma, ho visto tutto quello che di me
mai avrei voluto vedere.
Ho visto la mia fragilità e la mia insicurezza
i miei sensi di colpa e i miei complessi
le mie paure e la mia insofferenza
ho visto le mie tenebre e i miei demoni
allora, ho guardato ancora oltre
e nel profondo del mio cuore, un mare in tempesta,
un oceano immenso dove tuffarsi e perdersi
e lì nel profondo della mia anima ho compreso!
Ho provato piacere e orgoglio
nel capire quello che oggi provo
nel sapere chi oggi sono veramente
adesso so che amo le cose belle
so che amo tutto quello che la vita mi offre
e una di quelle sei tu"

dal libro "Undici minuti" di Paulo Coelho




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