venerdì 30 maggio 2014

Zanzara hippie muore.


Non è un appuntamento al buio. Ma un incontro con la mia comicità.  Che cambia.
"Ciao Mr C. Alle 20 da me?". Sono incasinata in ufficio. Vogliono la mia pelle ( o le mie palle? chissà..). Ultimamente è una corsa scoordinata.
Mr C. arriva alle 19h30. Io sono sotto la doccia. Gli dico "Sali".
Mentre mi prosciugo nel bagno, lui si siede sul mio letto. Mi vesto al volo. Dico: " Senti, usciamo al ristorante. Offro io. Non ho fatto in tempo a fare la spesa". Perché il gioco era farmi cucinare. O farmi riscoprire una femminilità "normale" che nego.
Lui tentenna e dice: " Ecco, la donna moderna". 
Ma che donna moderna.. La verità è che dopo una giornata in un lavoro che è d'obbligo e mi ritira energie e senso, cucinare.. Mi stressa.
Poi sento  che anche lui è lì per capirmi. "Che animale è questa qui?". E in realtà, come tutti ultimamente, è lì per capire se stesso attraverso di me.
Andiamo a cena. Io resto leggera ( dopo si deve provare). Lui mangia primo e secondo. Offro io. Sono una vera donna moderna. Chissà se mai capiranno che in realtà sono generosa perché mi sento sempre in difetto. Allora pago. 
Io parlo. Di little D. ( mi chiede lui). Dei miei ex e dell'amore. Ancora. 
"Quali sono i tuoi obiettivi?". Chiede.
Artisticamente ( siamo una coppia artistica io e Mr C.) li ho ben chiari. Ma lui vuole sapere come donna. E lì è così difficile. Anche se non posso non pensarci. Allora racconto di P. Di S. Di little D. Il primo uomo italiano. E che uomo!
Insomma parlo di sigle che mi hanno resa sempre più single.
E lui su Little D. mi chiede tanto. Lo conosce. E' uno dei jazzisti più apprezzati. Pare. Ha la sua pagina wikipedia.
E ha suonato e suona in un bel giro. 
Poi mi guarda un po' come dire: "Ma perché non hai cavalcato l'onda del suo successo e dei suoi contatti?". 
"Perché mi stava uccidendo".  Penso. Ma la capirebbe questa frase l'uomo che ho davanti? Come artista e donna. Mi stava uccidendo. Il mio analista mi ha fatto vedere Camille Claudel e parlato di lei a sfinimento nel tentativo di salvarmi da quel gioco perverso e farmi volare via.
"Sai, mi ha colpito che little D., mi scrivesse per farmi i complimenti per come suono. Lui è un grande".
Caro Mr C. suoni molto meglio di Little D. che in fondo ha solo la capacità dell' apparenza. Poi aggiunge :" Ma no, little D. è un grande. Suona con i grandi. Infatti mi avrà scritto per gelosia. Per te. Perché sapeva che tu iniziavi a lavorare con me".
Si. Forse si. Gelosia. Ma chissà quale gelosia. Figurati che a me ha sempre detto che non ero in grado di stare con lui su un palco. Che dovevo dimostrargli ancora di essere brava. Ora musicherebbe ogni mio scritto.

Poi lui mi parla di se stesso. Poco. Delle poche relazioni. Di non avere mai convissuto come me. Perché le altre non hanno mai voluto.
Poi parla dell'amore libero. Del possesso. Della cultura hippie. Che lui è per l'amore libero. Che dovremmo stare con una persona, ma avere la libertà di andare con altre. Senza possesso. 
Come little D. dico. Aveva me e tante altre, ma io non potevo avere altri. Sarei stata una "troia". E Mr C. ride. Poi gli chiedo: " Ma tu ora sei impegnato?". Tentenna. Arrossisce. Borbotta. Poi dice: "Ma più o meno". Incalzo: " Da quanto tempo?". Sconsolato ammette: " Due anni". Ah però!
Un più o meno importante. Insomma, questa storia lo annoia. Gli dico: "Sai Mr C. secondo me una coppia ha senso se si diverte. Se sta' per il bisogno e poi si distrugge nella noia, non ha proprio senso. Neanche che costruiscano qualcosa". Annuisce. E poi appare preoccupato. Penserà al più o meno di due anni?
Poi mi dice:" Ma a te se uno ti  corteggiasse gli daresti peso?". E qui, io non ho capito. Rispondo: "Boh..".
Andiamo da me. Iniziamo le prove. Lui deve recitare una parte. Lo aiuto. Faccio la regista. L' attrice. Lo fermo. Gli dico cosa non va e faccio ripartire. Più volte. "Ci siamo. Va molto meglio". Gli dico. E do' altri consigli. Io ci credo in questo progetto. Come in tutto ciò che scrivo. Sono i miei figli. Alfie e Giulia sono altri di me. E' il mio modo di essere mamma. E io con lui sto' facendo l'amore. Ma non lo capisce.
Poi andiamo avanti. Mi fermo. Lo fermo. Torno indietro. Cambio. Ragiono veloce. Gli chiedo: "Prova così". "No fai così". Ridiamo. Un po' mi segue. Poi entra una zanzara enorme. E lui la insegue per la casa. Io non ho il coraggio di ucciderla.
PAM! Due quaderni e zanzi è andata. In polvere sul mio parquet. E lui fiero sa di avere fatto l'Uomo..

Poi mi fa altre domande. Sulla mia casa. Su dove voglio andare. E tanta curiosità... ad un certo punto mi domando che devo davvero sembrare strana. Per gli uomini che ho incontrato finora intendo. Così sola. Con tante cose. Un lavoro diverso da me e tante me. E neanche lo spiraglio di un uomo. Un uomo fisso. Eppure non sono un cesso. Neanche una gran gnocca. Ma un tipo. 
Continuiamo. Io sono dentro la cosa. Il progetto. Lo vedo. Ma poi mi accordo che Mr C. sta' sudando. Mi chiede un po' d'acqua e andiamo in cucina. E parliamo. Ha bisogno di parlare.
Ma io voglio provare. E riprendiamo. Resiste 10 minuti e poi dice: " Io non ce la faccio più.. non riesco più a seguirti..". E' sdraiato sul mio letto. Io tiro ancora un po'. Ci sono delle battute che ho scritto e che potrebbero essere dette così. Un po' a sfondo sessuale. Si accende. Crede le dica come me stessa e non come l'altra da me. Interrompo i fraintendimenti. Torniamo in cucina.
E parliamo. Mi dice se mi renda conto che ci creda solo io. Nel progetto. Che sono io che tiro e che sono ottimista. Che lui è più pratico. O sfiduciato. Che è difficile "sfondare". Gli dico che è un bel lavoro. Difendo il mio progetto. Ogni cosa che faccio ha questa dignità. 
Lui dice "Ma è complessa". Si. Ma è bella. Come ogni cosa complessa e va amata. Fa si con la testa, ma ho capito che sente il peso di quel che l'ha attirato. Che non ce la fa. Nemmeno lui.
Parliamo ancora. Poi va a casa e mi dice di dormire. Che devo sforzarmi di farlo.
Chiudo la porta e mi sento strana. Ho anche un po' paura. Mi viene anche un po' da piangere. Attiro. Incuriosisco. E spavento nella complessità di una ricerca. Una ricerca continua. Non mi sento mai arrivata o sazia. E' questo che amo dell'arte. Di queste cose che scrivo e metto in scena. Del conflitto che cerco in uno scritto perché senza conflitto non c'è vita o movimento.
Sono io che inizio ad amare oppure incontro solo principianti comici?

mercoledì 21 maggio 2014

Scrivere

“Siccome non possiamo eliminare d’un colpo solo il linguaggio, dovremmo almeno non tralasciare nulla che possa farlo cadere in discredito.

Farvi un foro dietro l’altro finché cominci a filtrare ciò che si cela oltre di esso, si tratti di qualcosa o di nulla;

per uno scrittore, non posso immaginare oggi una meta più alta. Natural- mente per il momento dobbiamo accontentarci di

poco [...]. Agiamo dunque come quel matematico pazzo che usava un criterio di misura diverso ad ogni passo del suo calcolo.

Un assalto alle parole in nome della bellezza” (Samuel Beckett, 1937).

Il valore dell' assenza

" Regala la tua assenza a chi non da' valore alla tua presenza."

Oscar Wilde

domenica 18 maggio 2014

Veniamo da un abisso

“Veniamo da un abisso oscuro; ritorniamo in un abisso oscuro.
 Lo spazio luminoso che intercorre tra di loro lo chiamiamo vita”

( N.Kazantzakis)

Eppure esistono abissi anche in quella cosa che chiamiamo vita. Esistono quando si cerca l'amore dove non può essere.
Allora anneghiamo dentro l'altro. Mi annego con il mio essere buona.
Mi annego.
Ma in fondo a chi potrebbe importare? Nel momento in cui inizio a chiedere e non so più dare, il vuoto immediato attorno.
Lo spazio luminoso è un' idea. Che parte da noi. Non esiste l'altro. Non esiste incontro vero. Se non con se stessi. Forse. Forse.

venerdì 16 maggio 2014

Marina Abramović e Ulay - MoMA 2010


Un esempio di verità.

Fra me e la vita


“Fra me e la vita
ci sono sempre stati dei vetri opachi.
Non ho mai saputo se era eccessiva
la mia sensibilità per la mia intelligenza
o la mia intelligenza per la mia sensibilità.”
(Fernando Pessoa)


Però ci sono sempre stati dei vetri. Che percepivo e su cui camminavo in bilico per tagliarmi anche un po'.
Si era rotto lo specchio della mia crescita e del mio divenire. Dicono che rompere un vetro porti sfortuna, anzi "sfiga".
Io ho percorso la mia vita in bilico tra la sensibilità e una specie d'intelligenza quasi istintiva o inconsapevole che mi faceva saltare, ogni tanto, un vetro tagliente.
Eppure è sempre rimasto opaco. Quello specchio. Anche se l'ho ricomposto in parte.
Con dosi di amore che percepivo, cercavo e capivo essere pertinenti al mio senso.
Però uno specchio rotto è uno specchio rotto.
Negli anni si sente la necessità di tagliarsi ancora o di meritarsi solo quell'opaco che non disegna niente. Neanche te stessa nel mondo.
E allora a niente valgono la sensibilità o l'intelligenza, se si alternano per salvare un mantenimento o una sopravvivenza.
Non mi sono ancora specchiata realmente. Non so neanche le cicatrici o i segni dei vetri sulla mia pelle come siano. Che forma abbiano.
Non so ancora se sia eccessiva la mia sensibilità per la mia intelligenza, o la mia intelligenza per la mia sensibilità.
L'amore mi aiuterà.

giovedì 8 maggio 2014

Quando ti bacio



Quando ti bacio
non è solo la tua bocca
non è solo il tuo ombelico
… non è solo il tuo grembo
che bacio
Io bacio anche le tue domande
e i tuoi desideri
bacio il tuo riflettere
i tuoi dubbi
e il tuo coraggio
il tuo amore per me
e la tua libertà da me
il tuo piede
che è giunto qui
e che di nuovo se ne va
io bacio te
così come sei
e come sarai
domani e oltre
e quando il mio tempo sarà trascorso

( Eric Fried)

mercoledì 7 maggio 2014

Insieme a te non ci sto' più

Sono fatta di parole. La parola che mi ha salvata nel buio di un'infanzia incompresa e uccisa dalla violenza paterna e dall'assenza materna.
Mi appoggio a loro da allora. Non riuscivo più a parlare. Una botta nella stomaco, la perdita della mia voce e poi la carta e i libri in cui mi sono rifugiata per un'analisi inconsapevole.
Non parlavo più. E il mio corpo? Lui diceva nei vizi, nell'anoressia e nella bulimia della mia adolescenza che mi ha lasciato uno stomaco che ora non assorbe più. Rigetta ogni mancata verità.
Riconosce chi si avvicina senza amore. E non mi aiuta a vivere il corpo per quel che è.

La mia sessualità che resta una cosa unica con la parola. Non so scindere. Non so separare la mia mente, dal mio corpo e dal punto .. cuore.
Ho un limite. Non so incontrare senza un'anima. Non so svuotarmi e svuotare. Non so "scopare", so fare l'amore. Ci ho provato e mi sono ritrovata a piangere sconfitta sotto le coperte di me stessa.
Non riesco neanche a pronunciarla quella parola, "scopare", perché mi fa violenza già nel suono.
Eppure l'ho fatto per colmare quei sensi di colpa verso una paternità mancata. L'ho fatto per avere un'attenzione e un amore che ho avuto solo in quei termini. Per poi fuggire tenendola dentro. 

Ma ora pago le conseguenze della rinuncia di una violenza che mi ha prosciugata e tolto una parte fondamentale della mia vita. Non l'avrò più, ma ora è tempo di cercare altro. Non odio più. Ho solo messo le ali per andare altrove.
Lasciatemi il MIO amore e me stessa. Lasciate che io mi assenta per occuparmi di me stessa e del mio destino.


https://www.youtube.com/watch?v=efzTCBZuZjo



martedì 6 maggio 2014

Saucony Jazz

" Dove corri? Dove stai andando?". Inciampo con le mie scarpe dai tacchi alti per celare il mio 1,58 di statura. Per innalzarmi al cielo o farmi vedere. E non sentirmi sempre così piccola.
Ho le vesciche perché corro veloce a ritmo alternato e imprevedibile con le mie Saucony Jazz, ma poi metto gli stivali con i tacchi. Gli stivali forti. Per difendermi e dire all'altro: "Pungo". E non è così.
Non pungo. Non so farlo purtroppo. Non riesco ad uccidere neanche le zanzare. Ma è il mio modo primitivo di distanziarmi.

Eppure corro male ed incontro male e ho dolore, dappertutto. Eppure corro. Non so dove.
Corro verso un incontro. Per un incontro che non riesco a far avvenire.
Incontro solo il buio dei miei ricordi, anzi incontro chi annusa la mia autodistruttività per dare sfogo alla sua.
Resto incinta di un'idea e chiedo aiuto a dei becchini per partorirla che bevono il sangue dalle mie ovaie stanche.

E prima che si secchino, assorbo dagli occhi una gioventù che non ha più senso nella mia vita che è adulta e inconsapevole.
Inconsapevole del valore, del senso e del percorso.
"Dove corri? Dove stai andando?".
L'amore non risponde. Forse mi aspetta al traguardo. Devo cambiare le scarpe.




giovedì 1 maggio 2014

CHIAMATEMI STREGA


Non importa chi sono. Non importa come mi chiamo. Potete chiamarmi Strega.
Perché tanto la mia natura è quella. Da sempre, dal primo vagito, dal primo respiro di vita, dal primo calcio che ho tirato al mondo.
Sono una di quelle donne che hanno il fuoco nell’anima, sono una di quelle donne che hanno la vista e l’udito di un gatto, sono una di quelle donne che parlano con gli alberi e le formiche, sono una di quelle donne che hanno il cervello di Ipazia, di Artemisia, di Madame Curie.
E sono bella! Ho la bellezza della luce, ho la bellezza dell’armonia, ho la bellezza del mare in tempesta, ho la bellezza di una tigre, ho la bellezza dei girasoli, della lavanda e pure dell’erba gramigna!
Per cui sono Strega.
Sono Strega perché sono diversa, sono unica, sono un’altra, sono me stessa, sono fuori dalle righe, sono fuori dagli schemi, sono a-normale… sono io!
Sono Strega perché sono fiera del mio essere animale-donna-zingara-artista e … folle ingegnere della mia vita.
Sono Strega perché so usare la testa, perché dico sempre ciò che penso, perché non ho paura della parola pericolosa e pruriginosa, della parola potente e possente.
Sono Strega perché spesso dò fastidio alle Sante Inquisizioni di questo strano millennio, di questo Medioevo di tribunali mediatici e apatici.
Sono Strega perché i roghi esistono ancora e io – prima o poi – potrei finirci dentro
 

( Franca Rame)

Finalmente inizio a perdere

Inizia a perdere il lamento. O quella sensazione di sottile piacere che ti fa sostare nel limbo e non prendere la decisione. Che non ti permette di essere ferma al punto da decidere per un "si" o un "no", ma restare in un "forse".Una parola che incatena e lancia un lamento. In perenne divenire e ripetersi.
Inizia a perdere la paura di essere libera per quel che sei. Quella paura che fa mancare il respiro e la terra sotto i piedi.
Inizia a non inseguire fantasmi o idee o persone per trattenerle. Per paura di un vuoto. Per paura di doverlo riempire di te stessa, quel vuoto.
Inizia a togliere.
Inizia a svuotare la casa della tua anima di polvere e indumenti troppo vecchi o troppo comodi o normali.
Inzia a non perderti nei percorsi che non fanno che bruciare le energie creative.
Inizia a capire che sono le tue gambe e sei tu che esisti e non l'altro.
Inizia a non dipendere da una telefonata, un messaggio o un rilancio che non porta a nulla se non a trattenerti, tenerti, usarti e odiarti in fondo.
Inizia a percorrere veramente la vita anche in una disciplina. Che sia coerente con la voglia di credere, di crederci. Coerente con la tua forma d'amore.
Lascia il lamento. Fai senza pentirti e non fare ciò che sai che potrà solo farti male.
Inizia a perdere te stessa, quella parte di te che ti copre di scuse per non andare avanti nel vero amore.