mercoledì 9 luglio 2014

La parola mancante perché sia uomo



Il risveglio di questi giorni è diverso. Io lo sono. Ci sono i gabbiani che urlano. E gli alberi rispondono.
Da ragazza, il giorno in cui mio nonno morì, il padre di mio padre a cui volevo molto bene, un gabbiano volò a lungo sopra la mia testa. Avevo ventiquattro anni. Ero molto triste perché il nonno era l'unica parte sana della famiglia di mio padre.
Suonava il piano ad orecchio. Era un bell'uomo alto, con gli occhi azzurri e mi faceva sempre ridere. Mi chiamava "ninin" e cantava con me. Parlava forte. Aveva lavorato nei cantieri e per coprire il rumore delle macchine aveva imparato a parlare a voce altissima. Anche fuori da quel contesto.
Aveva un grande rispetto e amore per me. Ero la nipotina che volava in alto. Come i gabbiani.
Veniva a farmi compagnia quando stavo a casa da scuola. Quando avevo le febbri "finte" e i miei non lo capivano. Non lo capivano che stavo male. Mi lasciavano a lui.
Per me era divertente. Mi raccontava della seconda guerra mondiale. Dei sommergibili. Degli amici morti. C'era una semplice e grande umanità in lui. Scrivevo i racconti che mi faceva.
Vinsi un concorso basandomi su una delle sue memorie.
Lui cercava il contatto con l'altro. Sempre. E amava la vita. Ballare. La musica. Rideva sempre. Ricordo questo di lui.
"Vieni che ti do' un po' di barbetta.." mi prendeva e strusciava forte la sua guancia contro la mia. Non si radeva mai bene di proposito e mi faceva l'effetto della carta vetrata. Apposta per farmi scappare e urlare.
Non aveva mai conosciuto la sua mamma. Lei era morta dandogli la luce. E suo padre, il mio bisnonno, dal dolore lasciò tutto. La casa e la Sardegna. Io vengo da lì. Da un'isola.
Era un anarchico il mio bisnonno. Lasciò la Sardegna e si trasferì in Liguria. Bruciò tutto. Il passato. I ricordi. La casa. Anche il cognome che da Falchi divenne Falché.
Chissà se io somiglio a lui. Mio padre non andava d'accordo con questo nonno strano, ribelle e sofferente. Si trascinava da una stanza all'altra. Con i suoi pentolini. Scappava dagli altri e non sopportava la moglie del figlio. Mia nonna. La chiamava "bagascia".
Dicono sia impazzito d'amore. E che si sia chiuso nel suo folle dolore o in un dolore folle.
Il nonno invece era diverso. Lui cercava negli altri e nella vita di colmare la perdita della madre.
Nella sua semplicità c'era la richiesta di un origine e di un amore che ha cercato sino alla sua fine.
Ho pensato a lui questi giorni in cui mio padre sta' colmando il divario tra noi. In questi giorni in cui riscopre me, questa figlia strana e sfuggente. Così diversa dalla sua idea e immagine di donna. Dalla sua logica. Eppure così attraente.
Il nonno mi aveva amata già. Sin da bimba. Forse perché lui cercava disperatamente il femminile nella sua vita.

Il giorno prima di spengersi, andai da lui in ospedale e gli dissi di stare tranquillo. "Quando esci nonno torniamo a suonare insieme". Mi guardò con gli occhi spenti e disse: "Ninin, sono del gatto ormai". In Liguria diciamo così. Anche così. Per dire che non c'è più speranza.
Ha sempre avuto paura di morire il nonno. Noi nipoti ridevamo perché faceva sempre le finte. Veniva mentre giocavamo e ci diceva: "Oddio bambini mi sento male.. ho un dolore qui al petto.." . La nonna lo prendeva in giro. Tutti. Perché magari aveva quelle sensazioni.. di perdizione o mancamento, ma erano tutte psichiche.
A me faceva tanta tenerezza.
Lui aveva quei mancamenti perché erano richieste d'amore. Gli era mancato l'amore primario.
Il giorno che morì io ero a casa a studiare. Inglese 4. Forse uno degli ultimi esami. Ecco. Lui sapeva tante lingue. Le aveva imparate in guerra. Parlavo in inglese con lui.
Mi aveva detto di stare a casa a studiare mentre lui moriva. Sapeva che sarebbe successo.
Ero sul terrazzo a studiare. Davanti avevo il mare che amava tanto. Un gabbiano volò a lungo sulla mia testa. E gridò. Ho sempre amato i gabbiani. Sono i padroni del mare.
Mia madre, che è sempre andata d'accordo con il nonno, mi disse che nel momento in cui il nonno se ne andò, aprì gli occhi per un istante lasciando il coma in cui era caduto e disse:" Mamma..". E spirò.
Me lo racconta sempre tra le lacrime. Perché secondo lei, il nonno vide finalmente la sua mamma. Lei è credente. Io no.
Ho pensato alla scena iniziale di "Quarto Potere" di Orson Welles. Quando Kane prima di morire pronuncia "Rosebud", in italiano Rosabella.
E' un film meraviglioso e così complesso. Parla d'amore e meriterebbe un posto in questo blog. Un posto degno del peso che ha. Ma quella parola pronunciata in punto di morte da Kane.. Rosabella.. è una parte della sua infanzia. Un ricordo d'amore. Così come il "mamma" del nonno. Qualcosa di perduto nel tempo. E' la mancanza d'amore. Una parte del puzzle di un uomo. "Rosebud" per Kane. "Mamma" per mio nonno. La parola mancante. Anche se una parola sola non può riassumere o descrivere un uomo. Ma può essere "LA" parola.
In punto di morte, nel momento in cui si sente che la vita ci sta' lasciando, inconsciamente, forse, riusciamo a dire LA parola che rappresenta per noi la mancanza che ci perseguita per anni.
L'insoluto che ci fa vivere senz'aria e magari ci fa vivere male. Ci priva anche di un dolore autentico.
La mia parola era "papà". Sarebbe stata "papà". Grazie all'analisi non ho avuto bisogno di morire. O forse sono morta e non me ne sono accorta. O l'ho detta morendo. O sono morta dopo averla detta.
Infatti ora non ho più paura di morire nel reale.

Inizio a credere che l'amore sia l'unica forza che muove il mondo. Credo in questo. Da atea pronta a smentirsi.
Che cosa sia l'amore poi, questo è complesso da descrivere. Io credo che il nonno l'abbia rincorso tutta la vita. Non come Kane chiaramente.
Il mio bisnonno forse ha vissuto nell'odio come Kane. Nell'odio e nella chiusura. Il nonno, invece, ha cercato quel tassello mancante.. l'ha cercato con disperata forza e fragilità..
Mi sentivo molto amata dal nonno  Romolo. Si chiamava come il primo re di Roma.
Ha fatto tanti errori probabilmente. Magari come padre non sarà stato il massimo se il mio è venuto fuori incasinato. Eppure parlava con me parti di me.
Credo che sia stato anche perché per un tempo, anch'io, non ho avuto più la mamma. Si è avvicinato a me anche per quello.
Anche se si è perso mio padre. E la sua follia.
E' davvero complesso sciogliere i nodi del dolore e dell'odio. Comprendere che la mancanza dell'altro non dipende da te. Capire che le fughe da mio padre per esempio erano spirito di sopravvivenza.
Che Pepe, il mio unico grande amore, l'avessi scelto perché era l'opposto di mio padre. E non parlava la mia lingua. Potevamo incontrarci in un'altra dimensione. Ma erano fughe appunto.
E ho perso negando me stessa nel colmare quel vuoto.
Tutti gli altri uomini, fino all'ultima ferita.. li lascio lì. O laggiù. Devo iniziare la seconda parte. Ora che mio padre mi ha vista. Ferita, ma forte. Ora che sono morta dicendo "papà".
Sono riuscita anche a capire pienamente questa frase: “Quando una persona ti ferisce, non irritarti..
ma pensa solo che dietro quel comportamento, c’è una incapacità di amare, dovuta alla presenza di una ferita". E' di Madre Teresa di Calcutta.
Solo qualche tempo fa avrei riso. Gridato all'orrore. Forse quando raggiungi un livello di spiritualità superiore, impari a leggere alcune frasi in modo diverso.
Forse il dolore e la malattia e stare male sono il vero unico passaggio per trovare l'amore. Quello a cui sia possibile dare questo nome. Ora credo di esserne capace. Credo di si.
Ecco il grido acuto della civetta. Lei vigilerà sul mio silenzio.


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