lunedì 21 luglio 2014

La guerra fredda dei generi

Non la metto più la schiuma nei capelli. E' quella cosa bianca che esce da una bomboletta. La metto sui capelli umidi.
Disegna ricci.
Ricci naturali.
Effetto strong.
Effetto naturale.
Effetto secco.
No. Basta schiuma. Tanto non uso mai il phon. Anche d'inverno. Esco con i capelli completamente bagnati.
Non lo so perché. Principalmente mi scoccio di fonarli (o si scrive phonarli con il "ph" neutro?!?). No. Con la "f". Perché i miei capelli sono ricci. Ribelli. Vanno dove vogliono. Non sono neutri. Meglio saperlo subito. Così risparmio tempo. Anche a chi li annuserà.
Elimino anche la schiuma. L'effetto è diverso. Sembrano più morbidi. Sembrano. Sto' cambiando pelle in fondo.
Metto un vestitino estivo. Azzurrino. Corto. I sandali di corda. Quelli spagnoli. Espadrillas. Mi vesto d'anima. Comoda.
E vado a trovare la nonna. La Baronessa della mia Mala. Ha quasi novant'anni. Ed è ancora bella. Ha gli occhi azzurri. Il viso disegnato. La nonna era una bella donna. Somigliava ad un'attrice di Hollywood. Guardo le sue foto in bianco e nero da ragazza, ne vado orgogliosa. Anche se io non le somiglio per niente..

Inizio a toccare tutto. I libri. I suoi santini. Si arrabbia: "Sempre la solita.. non stai mai ferma. Siediti e raccontami la tua vita". 
Mi fa ridere. Poi tanto faccio parlare lei. E mi racconta delle signore delle case di fronte. Del figlio della vicina che andrebbe così bene per me.. Di Santa Gemma. E della televisione. S'interrompe però: " Bella sei sempre bella, ma hai un vestito troppo corto". Mi sgrida sempre. Continua: " Ma ti sta' bene. Hai belle gambe, ma lo sai no che gli uomini sono un po' arrabbiati con le donne ora? ".
Ecco. Riassume con semplicità. Eh si, è una guerra. Fredda addirittura. Perché non detta. Non si dice. Non si dice veramente. Si enuncia. E invece la violenza vera nasce da questo non detto. Di generi che cambiano e lottano senza incontrarsi mai.
"Ma mica solo oggi nonna. Gli uomini sono arrabbiati con noi da sempre". Lei aggiunge: " Eh, perché ora la donna fa tante cose. E' pericolosa. Se ti vedono così ti possono fare del male per vendicarsi".
Siamo pericolose? Ci percepiscono così? E quale pericolo sentono?
Non so proprio cosa dirle. Perché con semplicità ha detto una cosa vera. Per quanto siano complesse le dinamiche storiche, sociologiche e psichiche etc. etc... E non è sempre così. Non è così ovunque.
Ne ho parlato tanto con John. Se il maschile accettasse più il suo femminile. Se ci fosse più unione.
Anche se...
Eppure è in atto la guerra fredda dei generi.  
Però è vero che c'è un gran macello. Perché prima era tutto delineato. Apparentemente tutto così semplice. Poi per mia nonna.
C'era la donna. Poi l'uomo e la famiglia. I figli. L'uomo faceva questo. La donna quest'altro. Fine. Lei non aveva neanche studiato perché studiavano solo i maschi.
Non lo so perché mi fa tanto effetto la dichiarazione della nonna. Nella sua semplicità. Forse perché io sono in lotta con il maschile da sempre. Un fantasma poi. Un certo tipo di maschile. Quello che ingabbia la diversità. E ho il sospetto che per sopravvivere sono diventata un po' di quel maschile che mi ha ferita.

La Baronessa mi ha accolta nei periodi peggiori. Scappavo da mio padre e mi rifugiavo da lei. Ho passato anche un periodo della mia adolescenza, al liceo. Da lei. Con la mia gatta. E i miei libri.
Nella mia camera ci sono ancora: letteratura greca. Chimica. Fisica.  Biologia.
Ero tanto sola. La vita fuori scorreva e io vivevo lottando contro mio padre. Era quello l'obiettivo.
E non lo capiva nessuno. Forse la nonna. Anche se egoisticamente avermi lì per lei era una fortuna.
Eravamo unite da questa silenziosa lotta con il maschile. Perché anche lei nella sua semplicità percepiva e mi diceva che tanti anni dedicati ad un unico uomo, chiusa in casa, con il senso del dovere, l'avevano resa infelice. Eppure, ancora adesso mi chiede perché io non mi sposi. E perché io non faccia figli.
Perché? Perché incontro o voglio incontrare ancora il fantasma. Perché mi fanno paura le relazioni chiuse in una casa con la dinamica familiare. Perché per amare bisogna essere forti e liberi. Senza pretendere che l'altro, il compagno o i figli subiscano le tue paure.
Perché se mai riuscirò ad avere dei figli ( tutte le donne lo vogliono) li amerò, ma poi gli insegnerò a liberarsi da me. E ad essere se stessi. Senza compiacere me, ma solo se stessi. Per trovarsi. Come esseri umani.
Perché quello che cerco non riesco a trovarlo. Perché è difficile amare veramente. O ti accontenti nell'abitudine di amare che hai ereditato o speri d' incontrare o resti solo. Resterò sola. Perché nell'abitudine di amare, io muoio. E gli incontri sono cosa rara.
Magari sono davvero destinata ad altro. Ho un'altra missione in questa esistenza. Diversa da quella che ho sempre pensato.

Anche se mi manca la comprensione. Rispecchiarmi in un altro che mi accolga. E non sarà semplice. 
Anche inconsciamente. I cuori fragili che ho voluto incontrare e accogliere dentro di me erano arrabbiati con un femminile. Con che cosa poi? Con la madre? Un'idea di violenza subita? Ognuno di noi subisce violenza dall'altro. Siamo una società basata sulla violenza.
Chi è più complesso se ne rende conto. Ne soffre. Elabora. Magari riesce a trasformarsi e a liberarsi per essere. Chi è più semplice vive nella superficie. Adeguandosi. Basterebbe non sentire.
Cuore Fragile due si che mi ha fatto pagare. Cercava una donna da dominare e controllare. Ha sfogato su di me l'odio di tanti anni. Proprio perché simboleggiavo tutto quello che una donna non dovrebbe essere. Per lui.
Ed io ho voluto pagare perché in fondo mi sono sempre sentita in colpa nel dualismo con mio padre. Per essere fuggita. Per essermi ribellata. In fondo mi sono sempre sentita in colpa. Per volermi salvare.
Sono stati i miei sensi di colpa che mi hanno lasciata lì. Nella casa di Cuore Fragile due ad accogliere il suo odio. Anche se ogni volta che faceva l'amore con me.. ogni colpo di rabbia che mi dava, piangevo dentro. Avevo dolore. E nel dolore pagavo. Nelle sue parole di odio. Pagavo. Pensavo che stare lì sarebbe stato un po' come farmi perdonare da mio padre. Perpetuare la violenza.
E' successa la stessa cosa anche con Cuore fragile tre. Ma lì la sofferenza è stata diversa. L'effetto è stato uguale. Alla fine il non valore che mi ha dato venendo a letto con me, senza difendermi, è stato uguale. Agli altri cuori fragili.
Ma alla fine, nel suo andarsene, si è sovrapposto mio padre. Che è tornato con una chitarra in mano chidendomi di cantare insieme e fare qualcosa che mi appartiene.  Per comprendermi.
In quella comprensione ho sentito il suo amore, la richieste di perdono. E di perdonare me stessa per essermi fatta del male.
Non è colpa dei cuori fragili. Io potevo fermarmi prima. Potevo decidere, ma non vedevo.
O vedevo la possibilità che vedevo in mio padre. Vedevo l'amore in mio padre, quello giusto. La luce. Cuore Fragile due mi ha sempre detto che con lui era impossibile. Che era un cavallo perso. E allora doveva uccidermi. Nel corpo e nell'anima.
John mi ha sempre detto: " Non puoi salvare chi non vuole essere salvato". Ora capisco. Mio padre è arrivato ora. Da solo. Potevo solo andarmene all'epoca. Non dialogava con me.
Aveva solo paura di quello che potevo essere. Di non potermi controllare.
Mi viene in mente Fassbinder. Mi ha chiesto quale differenza ci fosse tra Mr. D. e Ragazzo. Tra gli ultimi due cuori fragili.
Mr D. mi parlava. Nel suo odio, mi ha risposto. Quando gli ho chiesto "Perché?". E' riuscito a rispondermi. Mi ha sempre detto che gli risvegliavo cose troppo profonde. Che con me era costretto ad amare e ad essere. E lui non voleva. Voleva accontentarsi. Esistere era sufficiente. Sarebbe stata troppa vita. Avrebbe dovuto lasciare le abitudini.
L'ultima sera che restai con lui, era ubriaco come sempre. Lo schiaffeggiai per farlo smettere nei suoi deliri .
Mi guardò stupito e disse: "Amore andiamo a letto?". Era tutto così comico, ma non il mio amore sincero. E io non potevo più.
La mattina dopo gli chiesi "Perché? Perché mi tieni così?". E mi disse che pensava che la mia presenza lo avrebbe aiutato a vivere. Che avrebbe potuto prendere dalla mia forza. Invece, odiava e amava tutto il mio ardore. Allo stesso tempo. "Pensavo che sarei riuscito a cambiare con te. Non riesco a raggiungerti. Sei troppo..". E si girò dall'altra parte del letto.
Fu in quel preciso istante che decisi che dovevo togliermi. Perché saremmo stati così in eterno. Ed io sarei morta in un folle tentativo di cambiare il mio fantasma.
Però me lo disse. Mi disse. Ebbi la mia risposta.

Fassbinder mi fa sempre riflettere. La differenza è che Ragazzo non mi ha mai parlato veramente. Non mi ha mai detto veramente cos'è accaduto. Sono senza risposta. Resto con il vuoto dell'anima. E l'uso di qualcosa che ha gettato nella pattumiera.
Eppure gli ho scritto una mail. Per lasciarlo andare dentro di me. Con amore. Perché mio padre è tornato con cuore quando lui mi ha gettata via con spietata razionalità. Senza una parola che avesse il peso dell'essenza. E' vero che da ubriaco riusciva ad essere più pieno.
Ogni parte di me ha vibrato di verità. Sbagliata forse, ma vera ed onesta. E conta solo questo. La mia difettosa e incompleta umanità. Donata senza maschere. E infatti lui è guarito in alcuni aspetti lesionistici. Quindi, ho amato?
Solo questo conta. Anche se per poco.  Anche se sono stata gettata via.
Una parte di me ci sarà sempre in quella guarigione.
Ho visto che mi ha risposto. Ma non ho letto. Non voglio leggere. Non volevo una risposta. Perché so che non dice quella mail. Me l'ha anticipata con un sms. E non voglio. Non m'interessa. Lui non c'è più. Non so ce sia mai stato. Forse si. E non so cos'ho incontrato.
So che è cordiale e la gentilezza formale mi svuota l'anima. No. Per favore. Muoriamo in silenzio. L'ho gettata nel mare. La tua presenza. Quella vera. Se mai c'è stata.

La vera sconfitta dell'umano. Anche il mio limite. Di me che resto senza parole. Lost in translation. Questo è stato.
Eppure qualcosa ho imparato. Qualcosa gli ho lasciato negli anni a venire se mai si ricorderà di me. O avrà capito perché mi ha incontrata.
E se riuscirà ad ubriacarsi di vita senza svuotare bottiglie, ma riempiendo di se stesso l'altro.

"L'abitudine di amare". Di Doris Lessing. Lo prendo. L'avevo comprato chissà quanto tempo fa. Ora mi chiama.
Saluto la nonna che mi regala un paio di mutande verdi. "Come i tuoi occhi" dice.
Giorni dopo vado a Chiavari. A casa di Othello. Ha una casa bellissima lì. Per lui avere me e il mare di fronte è appagante. Scendo in spiaggia mentre lui mi guarda dalla terrazza. Mi tratta come una principessa. E sono il suo possesso. Forse mi insegue perché ogni volta si illude di avermi. Senza prendermi mai. Sono l'inconoscibile. Chissà.

Ho il libro in borsa. Sento che in quell' abitudine di amare troverò delle risposte. Però ho quel senso di vuoto.
Ho il mio bikini sotto la salopette di jeans. Sono troppo ansiosa. Sento il vuoto. Il respiro che mi crea ansia. E' il vuoto delle non risposte. Dell'umano che ho incontrato e poi lasciato andare con amore.
Mi tuffo in mare. Il mio corpo è accolto nel freddo iniziale.
Come nel freddo dei generi. Nuoto leggera. Un respiro ogni tre bracciate. Scaldo il mio femminile nel maschile del mare. Nel suo sale che asciuga. Ecco. Se mio padre fosse stato così.
Se mi avesse accolta senza chiedere solo. Senza giudizio.
Maschile e femminile. Uniti in una comprensione. Ma il mare è infinito. E non ha limiti nel suo amore.
Accoglie anche le mie imperfezioni. Senza guerra. Senza freddo. Senza distinzione di genere.

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