lunedì 18 agosto 2014

Donner pour donner

"Vai avanti. Non ti preoccupare".
John mi ha mandato questo messaggio. Qualche giorno fa. E' la risposta a: "Perché si odia chi si discosta dal luogo comune e dai più?".

Stavo rileggendo alcuni scritti. Questi del blog. Soprattutto gli ultimi. Li guardavo come se fossero tanti piccoli ragnetti. E mi sono sentita la donna ragno. Come nel mio sogno. Ho avuto paura e ribrezzo di me ancora.
Sono attorniata e circondata da donne e da maternità "normali". Da storie e relazioni che si delineano sull'onda del "normale" e del "sociale". Degli orari e dei pensieri che ti portano lì o là. Chissà che luogo ha tutto ciò.. E se sono i luoghi giusti questi imposti.
Sono circondata da ciò che poi in fondo mi ha sempre fatto paura.
Avvolta in qualcosa che ancora sfuggo e rifuggo e mi sfugge a sua volta nell'importanza. E nell'essenza di questa vita.

Ho avuto paura, questa paura.. che ti prende all'improvviso per ciò che ti avvicina alla verità. Alla tua verità. A un limite o ad una fine. O ad una delle tante morti necessarie per andare avanti.
E ieri ne ho avuta delle parole. Le mie. Scritte in libertà.
Tutto quello che scrivo è vero nel momento in cui le mie dita iniziano a scrivere rapide sulla tastiera. Ho imparato a scrivere, tecnicamente su una tastiera, al giornale. Là dovevo redarre rapidamente per la chiusura delle pagine. Così i miei pensieri riescono a fluire rapidi e ad incidersi sulla "pagina" virtuale. Nell'immediato. Che è il più vicino alla vita possibile. Anche se muoio sempre un po' in ogni parola per riviverne in altre. Subito dopo. In un flusso continuo di coscienza inconsciente. Nel tentativo di raggiungere l'essenza.
Talvolta con errori. Perché la frenesia delle mie parole che sgorgano dall'anima si scontrano con il limite del corpo.
Chissà che non demandiamo all'informatica risorse che sono dentro di noi in fondo.

C'era il mio nipotino questi giorni. Ride sempre e ha la gioia di vivere in libertà che da adulti dimentichiamo. Chissà perché. Dovremmo tornare tutti così e non permettere che il sociale o le regole che vengono da un meccanismo, che non ha niente a che fare con l'amore, ci riducano a zombie. Come diceva Carmelo Bene.
Ho rivisto alcuni suoi video questi giorni. Su youtube. "L'uno contro tutti" al Costanzo Show e altre vecchie partecipazioni. Credo sia stato uno degli intellettuali più geniali del nostro tempo. Insieme a Pasolini. Almeno per me.  Nella novità e nel coraggio di dire cose scomode, che esistono e sono vere, ma che non si ha il coraggio di vedere o ammettere. Costa vita vera vederle.
Le sue provocazioni divertite sono portate con una teatralità irripetibile ed unica. Com'è unico ognuno di noi.
Non dovremmo perdere la nostra unicità per adeguarci ed essere vinti da chi ci vuole morti. Io spero che il mio nipotino non perda la sua unicità e si cerchi in questa vita.
Come zia non permetterò, per quanto mi sarà possibile, che muoia la sua vera essenza e che tenga viva la fiamma del bambino che è in lui. Per divenire un essere umano migliore. Da adulto.

"Perché mai dovrei desiderare di diventare madre?". L'ho chiesto a Fassbinder ieri. E ne ho parlato tanto anche con John. La maternità in senso classico è argomento complesso per me.
C'è chi parla d'istinto. Il famoso orologio biologico.
Sarebbe ora anche per me. Dicono. Ieri sono venuti a trovare il mio nipotino i genitori di Othello. La madre di Othello mi adora. Ora mi ama molto. Ora. Vede una forza e un valore perché in un momento difficile della sua vita io c'ero. Nella presena di spirito. Ma è la mia funzione?
Forse un valore aggiunto. Forse una delle poche cose positive della mia esistenza. Non so cucinare. Ho un pessimo carattere. Rispondo male. Ho orari completamente poco uniformi e poi vivo la notte, perché è il tempo rubato al giorno, le mie passioni e i miei desideri.
E lei per tanto tempo proprio per questo, come tanti, non mi tollerava. Ma c'è stato un momento complesso, legato alla morte, in cui io c'ero. E in quel buio la mia presenza l'ha aiutata. Me lo dice sempre.
 Come me lo dice mia madre. Mio fratello e le persone, le amiche, gli amici che riconoscono questo aspetto. Sono pochi. Sono i più veri. Alcuni mi hanno rincorsa questi giorni in cui non credo più in me. Per scrollarmi. Farmi tornare.
Tuttavia, mi chiedo quale sia il mio senso. Negli incontri. Nelle relazioni. E cosa io possa dare.
Di contro io ho bisogno di essere riportata a terra. Nei miei viaggi interplanetari. Da chi ha occhi diversi.
E mi chiedo: "Può una donna come me, che viaggia altrove, che ha tanti interessi, che non è "calma", che corre dentro e fuori... può una "strega" come me diventare madre?".
L'ho chiesto a Fassbinder. A John tante volte. John mi ha sempre detto che mio figlio viaggerà con me. Che mi vede in movimento, come in fondo sono. Il mio piccolino in spalla.  Sulla mia barca in oceano aperto.
Ma sarà sempre amore? Sarò in grado di amare o per amare bisogna rispettare dei canoni? E un uomo, perché di fare un figlio in provetta come una cavia da laboratorio non voglio proprio, potrà finalmente vedermi "idonea"? O devo cammuffarmi da mogliettina tonda, calma e giudiziosamente infida?

Ma soprattutto.. Perché desiderare di essere madre? Mi sono autoconvinta di essere una madre diversamente abile. O una madre con una diversa normalità. Perché ogni cosa che ho scritto o che ho generato e dato al "mondo", agli altri, come la Mala per esempio.. ecco.. questi, per me, sono figli.
Anche la pagina che si sta' creando in questo momento è un figlio che do' in pasto all'altro. Che potrà avere facoltà di amarlo, rinnegarlo, cancellarlo o sputarci contro.
E ne ho piena responsabilità. Io parto da questo. Dal senso di "non appartenenza". Non mi appartiene questa pagina. Dal momento in cui esce dalle mie dita e dal mio spirito o dal mio "amore", non è più mio.
Non ho alcuna autorità se non la responsabilità di lasciarlo andare nella vita. Nel flusso. Posso solo esserci. In una guida silente e presente, ma senza pretese di plasmarlo. Vive già da sé.
Questa pagina e queste parole hanno già vita propria. Esiste non per me. Ma per sé. O di per sé.
Così un figlio che uscirà dal mio ventre. Non sarà mio. Ma di se stesso. Lo accoglierò e guiderò finché non avrà sufficienti ali e forza per camminare da solo.
Ma non sarà mio. Né getterò su di lui le mie insicurezze, paure, desideri repressi e tutte quelle robe che uccidono chi è altro da me. Preserverò la sua unicità. Potrò essere la sua "levatrice" perenne.
Perché la sua essenza si manifesti e viva come un dono per chi incontrerà.
Allora perché diventare madre se non ho esigenza di affermarmi nel ruolo e pubblicarlo nell'etere? Perché diventare madre se non ho la smania di dire "Ecco: io sono la madre di.."?

Mi sono data ed ho amato Pepe con tutta me stessa, senza volere niente in cambio se non amore e quella maternità.. e dopo anni: "Non ti vedo come la madre dei miei figli".
Sono morta in quella frase.
Mr. D. "non ti vedo adatta. Fai troppe cose. Sei troppo irrequieta..". Othello uguale. Mentre mi amano le loro madri. Ora.
Come se per dare alla luce un figlio sia necessario essere morte e ferme. E' necessario esserlo? Controllabilmente ferme e tranquille?

Perché quindi attraversare la maternità e la paternità?

"Perché se dai a un bimbo, dai al mondo. Non ti toglierà l'arte un figlio, ma la alimenterà.. Non bisogna trasformarsi in casalinghe disperate e assassine. Per le tue smanie e l'irrequietezza, basta darti un po' di Retalin.. ".

Me l'ha detto Fassbinder. E' un uomo. Ironico e in cammino. In una ricerca costante.

"Ma quella donna che ho incontrato ieri a casa tua, non è tua figlia. Annalisa non è tua figlia. I suoi genitori sono morti quando era piccola". Questa frase l'ha detta mia nonna a mio padre. La madre di mio padre gli ha detto questo.
E nella malattia, l'alzheimer, che l'ha presa all'improvviso, ha detto una verità. Mi riconosce in quanto Annalisa e donna. Nel viso che somiglia a quello di quella bambina, ma che è altro. Ha vita propria e non appartiene a una madre o a un padre.
Nel "non ricordo" di ciò che eravamo, esistiamo. Nell'abbandono dell'idea del padre e della madre come proprietari della nostra anima.
Solo pensandoli simbolicamente morti, possiamo rinascere veramente. In una verità.

Perché ci sia il miracolo del dono puro. Donner pour donner, c'est la seule façon d'aimer.
Lo cantava anche Elton John. Nel video ha lo stesso  cappellino di mio nipote. E la stessa espressione libera di chi è felice di perdersi negli altri, nel mondo, nella vita. E di esistere.



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