mercoledì 16 settembre 2015

E se fosse il mio ultimo sguardo?

Sfioro la pancia nel dormiveglia. L'estate è passata in un lampo. Sta' per cambiare il numero che mi catapulterà in un nuovo decennio.
E sfioro la pancia. Sono in ospedale. Guardo nello specchio di profilo il mio ventre. E' la scadenza.
Mi hanno portata in ospedale. Anche se non sento dolore. Sono andata a correre. Sono riuscita a correre fino all'ultimo giorno.
"Sdraiati". E' mia madre che me lo dice. Ha i suoi occhiali scuri. Quelli post operazione. La luce le da' ancora noia.
Non riesco a stare ferma. Mi sfioro la pancia e la guardo con una sorta di orgoglio. Anche il mio corpo. Non è cambiato. C'è solo la pancia.
Arrivano le infermiere e le ostetriche. E mi dicono di sdraiarmi e calmarmi. E' la scadenza. Non sento i dolori. Mi chiedo se saprò sopportare il travaglio. Il dolore del travaglio. Lei sta' per nascere. E' una femmina. Lo sento anche se non ho voluto sapere il sesso. Ma so che è una femmina. Ho già un maschietto. Mio nipote. Che per me è come se fosse un figlio.
Viene in ospedale anche lui. Con mio fratello. Lo abbraccio e lo stringo forte e lo chiamo "Amore mio..". Ride con i suoi occhietti azzurri e furbi. E mi tira i capelli.
Chissà se andrà d'accordo con lei. Metto le mie mani sulla pancia. E' così piccola la mia pancia. E lei come sarà?
Passano le ore. Sono stesa sul letto. Mia madre seduta accanto a me. Vorrei andare via. "Quanto tempo devo aspettare perché arrivi il momento?". Sono quasi otto ore che sono lì.
Arriva l'ostetrica. Ha una tenaglia. Uno strano strumento. Mi controlla. Mi visita la pancia. La pressione. E la dilatazione. Le dico: " Tutto calmo".
Siccome non parla, dico: "Non farete mica il cesareo?". Non voglio essere aperta. Voglio affrontare il dolore delle doglie. Farla uscire dal mio sesso. "Un parto naturale.. sarà un parto naturale.." mi conforta l'ostetrica. Eppure lei, dentro di me, è calma. Non vuole uscire.
"Quanto tempo devo stare in ospedale dopo il parto?". Chiedo a mia madre. "Solo due o tre giorni. Ma solo due se è naturale e tutto va bene".
"Ah, allora posso andare a correre... Solo due giorni senza correre..". Mia madre mi dice che sono matta. Che mi devo calmare. Che devo attendere o sapere attendere di più.
Eppure ho l'ansia del movimento. Lei correrà con me. Anche se la sento più calma. E diversa. Diversa da questa madre iperattiva e piena di desiderio in movimento. E' altro da me. Metto le mie mani sul ventre.
Sono felice. Sarà una nascita piena di gioia e non ho paura anche se non c'è suo padre. Non c'è suo padre. Non ci sono uomini attorno a me. Se non proiezioni. Quello più presente è mio nipote.
Poi mi sveglio. E la pancia non c'è più.
Mi sono mossa nel sogno. Come sempre. Cambio posizione e faccio capriole.
Ho la testa dove dovrebbero stare i piedi e i piedi sul cuscino. Dormo al contrario. Eppure solo così mi addormento.
Ma lei non c'è più. E' sul tavolo. In cucina. 30 pagine. Riscritte. Finite. E' tutta lì. Devo solo affrontare la parte più difficile e il dolore che si porta dentro. Ma sono felice. Lei è più grande di me.
Più bella di me. Più autonoma e finita.
L'ho riscritta in agosto. Con Elena e grazie ad Elena. Solo una donna poteva aiutarmi a partorirla.
Ora è lì. La data è a fine ottobre. A Torino. E ho paura. Del travaglio. Manca un mese.
E non ci sono uomini. Non ci sono uomini.
Ma c'è l'amore. E' lì. Sul tavolo. Scritta da me. Ma non sono più io. C'è l'oblio. Dimenticare. Per trovare me stessa in una perdita di crescita.
Qu'est-ce qu'il nous reste? Oublier. Il faut oublier.

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